S’intitola Piano B ed è il nuovo lavoro musicale dell’artista partenopeo Beppe Palomba, che con i suoi mille volti inizia a fare musica negli anni ’70, insieme a Tony Esposito, Edoardo ed Eugenio Bennato, Enzo Avitabile, fino a Renato Zero, Antonello Venditti e Ron. Oggi Beppe Palomba è in rotazione con un lavoro discografico che segna una sorta di rinascita musicale. Il genio del cantautorato minimale propone con Il Piano B, un concept di ritrovamento per la sua passione. Raccontare in musica piccole storie che ci accolgono in maniera inaspettata. L’intento di Beppe Palomba con il suo nuovo, disco è quello di farci cogliere con una bella metafora, che se si ha una buon “piano”, non sarà mai troppo tardi per “cantarlo”. E noi lo abbiamo voluto approfondire, con una piacevole chiacchierata.
Il Piano B vuole essere una sorta di rinascita alla musica come “piano” alternativo. Ci spieghi in che termini?
«Arriva nella vita il momento dei bilanci, il momento in cui metti in fila le cose che hai fatto e quelle che vorresti fare. Negli anni ’70 ho avuto un bel successo come cantautore, dischi, serate, radio, tv, finchè non ho scelto di cambiare strada, un po’ per curiosità e un po’ per insoddisfazione, mi sentivo in qualche modo stretto in un ruolo che non mi soddisfaceva in pieno. Così sono passato a fare l’autore, il conduttore e il regista in radio e in tv, poi ho fatto la mia bella carriera… ho curato mostre e pubblicazioni di Arti Visive, insomma sono uno irrequieto! Alla fine, la voglia di scommettere di nuovo, la mai spenta voglia di fare musica, una insopprimibile vena creativa mi hanno portato alla realizzazione di un disco nuovo e a riprendere contatto con il pubblico. D’altra parte ritengo che ciascuno di noi debba riservarsi una via di fuga dalla noia e dalla routine, debba in qualche modo avere un piano alternativo, insomma, un Piano B».
Vieni definito un “irregolare” della canzone. Quanto senti tua questa esternazione?
«Irregolare? Beh, uno che molla nel suo momento migliore un po’ irregolare è. Poi magari ci sono delle motivazioni più tecniche, il fatto che mi diverta a sperimentare di continuo, che cerchi di rinnovarmi senza stare a preoccuparmi se il prossimo pezzo sia un blues o una milonga, che faccia sorta di teatro-canzone, divertendomi a spiazzare un pubblico serio e composto come nell’ultimo concerto che ho tenuto al Museo di Villa Pignatelli a Napoli».
Il disco vede la collaborazione del produttore discografico Luigi Piergiovanni. Come nasce l’incontro?
«Un amico comune, Carlo Basile, storico promoter di personaggi come David Bowie e Lou Reed, tanto per citarne qualcuno, manda a Luigi alcune mie registrazioni. Luigi ascolta e mi chiama. Ci siamo intesi subito, anche lui è un artista».
Quanto c’è d’amore nel Piano B?
«Facile risponderti che è tutto amore! In realtà in ogni brano io racconto una storia suggerita da una frase ascoltata, da una intuizione improvvisa, che metabolizzo e poi elaboro. Racconto alla fine sempre storie d’amore, ma un po’ quelle di tutti, e, ma raramente, anche di me».
Dagli esordi ad oggi, cosa resta delle sonorità d’inizio di Beppe Palomba?
«Certamente oggi ho un uso più maturo della voce, mi sono liberato della ricerca ossessiva della nota alta a tutti i costi, dell’ossessione compulsiva a far sentire quanto sei bravo. Oggi mi piace usare un tono più colloquiale, più adatto a porgere i testi e a renderli più veri, più godibili. Dal punto di vista musicale è rimasta intatta la voglia di sposare sonorità classiche e modernissime, violoncelli, sassofono, fisarmonica assieme a synth sempre sperimentando e cercando di trovare l’essenzialità».