Ventisette seguito da trentasette zeri è il peso in chilogrammi del buco nero che si trova nella galassia NGC 1097. Si tratta di un vero primato: al confronto il buco nero al centro della Via Lattea è 35 volte più piccolo ed è un peso piuma.
Quello che sorprende è come gli astronomi siano riusciti a “pesare” un buco nero di una galassia che si trova a 45 milioni di anni luce, in direzione della costellazione della Fornace.
Ciò è stato possibile grazie alle osservazioni eseguite con il sistema di radiotelescopi Alma, situato nel deserto di Atacama, in Cile: un gruppo di ricercatori, guidato da Kyoko Onishi dell’Università nipponica Sokendai ha infatti testato un nuovo metodo per calcolare la massa dei buchi neri nelle galassie molto distanti, come raccontano nel numero di giugno di Astrophysical Journal.
Tramite Alma, che scruta il cielo nelle frequenze sub millimetriche, hanno potuto misurare con estrema accuratezza la distribuzione ed il movimento delle molecole di acido cianidrico (HCN) e dello ione HCO+ attorno al nucleo della galassia NGC 1907. Hanno confrontato i risultati delle osservazioni con vari modelli matematici, finché non hanno individuato quello che meglio interpretava i dati raccolti.
Misurare la massa dei buchi neri nel centro delle galassie vicine non è difficile (dal moto delle stelle si può dedurre infatti la forza gravitazionale esercitata dall’oggetto oscuro e la sua stazza) quando invece la distanza è considerevole il calcolo diventa più complicato, perché non è più possibile distinguere i singoli astri. Si può ricorre allora all’osservazione del gas ionizzato intorno al centro galattico, tecnica che però funziona bene solo per le galassie ellittiche.
Nel caso di NGC 1907 (una galassia dalla forma a spirale barrata, cioè con una striscia di stelle) ciò non è possibile ma ora, grazie ai nuovi radiotelescopi, anche i buchi neri all’interno di queste aggregazioni stellari non avranno più segreti.
«Con questa innovativa tecnica e con future osservazioni potremo capire come questi immensi oggetti interagiscono e influenzano la struttura delle galassie che li ospitano», ha osservato l’astro-fisico Kartik Sheth, coautore dello studio.