Sorprende il leggendario cantante di Jam e Style Council, Paul Weller, quando gli si chiede del suo parere sul rock d’autore, un genere che ha frequentato molto: “Non so se ha la stessa rilevanza di un tempo perché forse le persone vogliono qualcosa di diverso. La dance è all’avanguardia di questi tempi, ne sono quasi certo, ha preso il posto dei rocker. Ma i dj no, forse nei tardi anni 80 e primi 90 avevano una valenza, ma oggi l’hanno persa”.
Paul Weller è in Italia per presentare Saturns Pattern, un album di 9 brani con rock e dance (non quella sintetizzata, ovviamente= che si fondono col il soul, anche se poi lui dice che ci sono generi più divergenti nelle stesse canzoni. Si parte col blues e si arriva al groove moderno, insomma, grazie anche alla produzione del fido Jan “Stan” Kybert.
Come ti senti a sfornare un nuovo disco a 57 anni, quando tutti ti considerano una leggenda?
«Non voglio fermarmi, mi piace creare, le nuove canzoni suonano bene dal vivo accostate al mio repertorio. Credo che sia l’influenza dei Beatles a darmi questa etica, da ragazzo aspettavo con ansia ogni uscita, perché c’era sempre una novità rispetto a quella di prima.»
Se ti guardi indietro cosa pensi di te?
«Se avessi saputo all’epoca delle canzoni politiche che avrei fatto lo stesso mestiere dopo tanti anni…non so, credo che il passato sia frutto di quelle esperienze. Ho scritto cose di rabbia che andavano bene all’epoca, oggi non scriverei necessariamente di com’è il mondo oggi, lo fanno tutti e le cose sono molto brutte. Devo anche riconoscere che la situazione è talmente stagnante che forse sarei costretto a scrivere le stesse cose di 30 anni fa e non voglio ripetermi.»
Cosa ti infastidisce di più?
«L’artista dovrebbe sempre riflettere il tempo in cui vive e io spero di averlo fatto e di saperlo fare. Come dire che le persone sono molto più avanti delle istituzioni. Almeno in Inghilterra è così, c’è uno scollamento tra una classe politica che è sempre figlia di quelle scuole buone, della borghesia ricca, e la gente. Siamo progrediti molto, noi, gli abitanti, c’è molta più integrazione, meno razzismo. Ma la politica è indietro.»
Hai iniziato seguendo le orme della musica di protesta, cosa pensi di chi inizia oggi?
«A me non andava bene la scuola e quindi mi sono subito tolto un peso. La gente oggi non credo abbia molto tempo per andare dentro le cose quindi ci sono molte distrazioni e molti contenuti estremamente veloci. Noi ragazzi avevamo come esempio solo la musica, il calcio e la moda. Oggi c’è tutto un mondo, da internet ai social media che ti richiede tempo anche se immediato. Poi ti dimentichi tutto. Credo ci siano dei buoni talenti ma forse fanno fatica a emergere, anche perché le esperienze belle sono le stesse in ogni epoca. E parlo di entrare in un locale, guardare e sentire una band che ti eccita ed entusiasma con la musica e uscirne arricchiti.»
Cosa ti ha portato a produrre un disco positivo come questo album?
«Mi ci è voluto del tempo per sentirmi bene dentro me stesso. Forse è una cosa che arriva con l’età, forse è una questione di sapersi attorniare della gente giusta, di saper riconoscere chi amare veramente. Tutte queste cose le ho trovate e mi hanno spinto a scrivere canzoni nuove. L’ultima cosa che vorrei fare è una reunion o un concerto focalizzato solo sui vecchi album.»