Patrizio Rispo è conosciutissimo dal pubblico per il ruolo di Raffaele Giordano, il portiere di Palazzo Palladini in Un Posto al Sole. Approdato alla soap dal teatro, per alcuni anni ha diretto una compagnia teatrale con Biagio Izzo, Mario Porfito e Mimmo Esposito e ha scritto anche diverse commedie teatrali. Nel 2006 ha pubblicato un ricettario Un pasto al sole, sua grande passione. Un attore a tutto tondo che accetta ogni sfida, prestando la sua talentuosa arte a giovani emergenti, come fu in passato con i Jackal.
Presente fin dalla prima puntata. Com’è stato lavorare in tutti questi anni sul set di Un Posto al Sole?
«All’inizio è stato meraviglioso, un gruppo disperato di attori di teatro di consolidata carriera ciò è stata la nostra fortuna, perché siamo stati degli interlocutori forti per un prodotto che, nel nostro ambiente, veniva snobbato. Tutti ritenevano che era l’ultima spiaggia. “Fai la soap, ma sei pazzo?” Mi ripetevano spesso, ma questa è stata anche la nostra fortuna, perché non ci sono stati raccomandati, lotte. All’inizio ci siamo trovati a capire un prodotto che nessuno conosceva, dai registi ai produttori, un format australiano abbastanza ingenuo e grazie all’essere critici ci rendemmo conto subito che poco si adattava alla realtà italiana. Le storie erano molto esili, per cui la Rai ci diede subito modo di fare sperimentazione ma per due anni circa. Oggi non lo si farebbe, se sbagli un prodotto, manco due mesi e ti chiudono. Noi abbiamo avuto la fortuna di riuscire a mettere a punto il prodotto e trovare una collocazione giusta e cambiarlo. È stata una partecipazione veramente trasversale. Facevano riunioni con il cast e la produzione, non eravamo solo degli scritturati ai quali si chiedeva di fare una partitura. Stavamo lì a criticare e capire come affrontare la misura giusta nella recitazione, così pure i registi. I primi due anni sono stati di grandissima esperienza e stimolo artistico, il tutto con una spada di Damocle, con il timore che venisse chiusa. Allora se qualcuno ci avesse detto questa soap fosse durata per vent’anni, nessuno ci avrebbe creduto. Si viveva sempre con quella precarietà. Oggi siamo tranquilli. Abbiamo attraversato un periodo di vent’anni di crisi nera della quale ci rendiamo conto anche di essere stati fortunati a viverla da qua dentro, un’isola felice».
Anche perché è l’unica soap italiana sopravvissuta per tanti anni…
«Conosco colleghi di grande talento che stanno per strada. Non esiste un contratto nazionale per il teatro e la situazione è disastrosa. Noi non solo siamo riconoscenti ad avere attraversato questa crisi, ma tutti siamo impegnati a difendere la categoria. Abbiamo dato modo a sceneggiatori di sopravvivere tra un film e l’altro o al primo film, attori che stavano in attesa di una scrittura hanno trovato qui un’isola felice. Da questo posto privilegiato, mi posso concedere di fare eventi di beneficenza, di partecipare a diverse cose e di fare cortometraggi con giovani registi, il membro di consiglio di amministrazione al Mercadante tutto a gratis, per cui tutto questo lo si deve a Un Posto al Sole».
Hai prestato il tuo volto, infatti, per alcuni corti di giovani emergenti. Cosa ti gratifica e cosa apporti a loro durante queste registrazioni?
«Vengo da una gavetta lunghissima e un po’ di pace l’ho trovata con Un Posto al Sole. Avevo già quarant’anni, quindi, so che cosa passa un artista mosso da questa passione, per cui, quando mi dicono, “Ah, sai, se ci sei tu, riesco a chiudere il corto”. Io dico sempre di sì, tanto credo che, anche l’ambiente, capisca che questo è un aiuto e non è una voglia di vanità, perché sono gratificato già con Un Posto al Sole, mi basta e mi avanza apparire in questa soap. Sentire, poi, le energie ed entrare in comunicazione con quelle che sono le capacità tecniche e artistiche di questi ragazzi, e perdere contatti con questa realtà, sarebbe una stupidità da parte mia. Credo che i film si debbano affidare, l’America lo fa, a ragazzi di 24/25 anni, bisogna osare. Mi fa piacere essere coinvolto in progetti di ragazzi emergenti».
Hai avuto anche un’esperienza con delle web series…
«Con i Jackal, infatti, ora sono arrivati a fare il primo film e non mi hanno chiamato. Ho fatto diverse cose con loro tra cui Lost in Google e Un Trono del Sole, due web series. Non mi ricordo come ci arrivai, ma stavano ancora a Melito questi ragazzi giovanissimi, ma già capivo che c’era un grande talento, sono bravissimi. Con loro c’è questo aneddoto carino, in tutte le loro cose, mi hanno sempre chiamato a fare il portiere, il custode di Wikipedia, il custode del Trono di Spade. Con loro ho fatto anche un paio di clip musicali molto belle, come Tarantelle Pe’ Campa’ con i 99 Posse e Caparezza».
Raffaele Giordano è uno chef nella soap…
«Lo sono anche nella vita. Io cucino sempre e faccio cucinare i miei ospiti, ma come quando recito io improvviso, quindi, non mi chiedere qual è il mio piatto preferito, a secondo di quello che ho nel frigorifero. Parto con fare un’amatriciana poi la contamino, non mi auto annoio come mi annoio a rivedere le scene così non ripeto un piatto».
Cosa apprezzi e cosa no del tuo personaggio? E cos’è cambiato negli anni?
«Alle volte è fin troppo buono, non vorrei perdere quella cialtroneria, quella che lo contraddistingueva all’inizio. Lui è un entusiasta, un bambinone, si butta nelle cose. Dall’inizio ho cercato di non farne mai una maschera. Sarebbe stato comodo per me, avrei fatto l’arlecchino per venti anni, ma non lo è perché io ho colto sempre le occasioni per suonare corde completamente diverse. Non sono mai stato sempre buffo, sono buffo con Renato, ma se vado a letto con mia moglie sono George Clooney oppure faccio il violento come Charles Bronson e divento cattivo, per cui ho gratificato le mie voglie di attore, cioè all’interno di Raffaele mi sono fatto tutti i film che sognavo di fare e me li sono fatti. Non me li fanno fare (n.d.r. un’allusione scherzosa ai Jackal) e io faccio anche film in costume in Un Posto al Sole».