Oggi che Pressure Off (il loro singolo con Nile Rodgers e Janelle Monàe) finalmente raggiunge il vertice della classifica della radio BBC 2, possiamo svelarvi come suona davvero questo nuovo, fresco album (il 14esimo) dei Duran Duran, Paper Gods.
L’interesse rinnovato per la band da parte dei media va avanti da tutta l’estate. Soprattutto perché Simon Le Bon e soci si sono riappropriati di un territorio che gli apparteneva, il funky, con un singolo dove hanno sintetizzato il groove master feel di Rodgers (che li conosce, professionalmente, dai tempi di The Reflex) e della linfa entusiasta di Mark Ronson. Ci sono loro dietro i più grandi successi degli ultimi anni (Get Lucky e Uptown Funk) e la voce della Monàe sicuramente aiuta.
C’è però la sensazione che i Duran, navigati e coraggiosi sperimentali, possano fare di più. E la conferma arriva con l’epica Paper Gods che titola l’album in tutti i sensi, dal mood che impone all’intero lavoro, alle liriche finalmente all’altezza del loro status di superstar globali che hanno ancora qualcosa da dire dopo 35 anni dal debutto. Un pozzo di suoni made in Mr Hudson (il produttore con cv hip hop) che rimandano ai Daft Punk minimal e al dark sound duraniano anni 80, con un ritornello azzeccatissimo e ironico. Che è anche amaro. E ci calza a pennello, perché l’ascoltatore ringrazia gli ex-idoli di carta che gli fanno luce su un mondo che loro hanno cavalcato e dal quale sono scesi. È l’estetica del consumismo sfrenato a essere bersaglio del pezzo, una presa di coscienza che coinvolge ahinoi, tutti.
Da qui nulla è come prima, almeno per questo disco. In un oceano di elettronica declinata in tutti i colori, si accoglie con grazia la chitarra particolarmente ispirata di John Frusciante, che esalta la già bella What Are The Chances, una ballad in tema coi tempi. E sorprende che la firma del rocker dei Chili Peppers sia anche sul finale di The Universe Alone, l’unico posto al mondo dove si fondono con i Duran gli arrangiamenti di archi di Davide Rossi, la chitarra di Frusciante, l’estetica duraniana e la religiosa intensità del Voce Chamber Choir e del London Youth Chamber Choir.
Possiamo andare avanti a segnalarvi i momenti alti del disco come fanno centinaia di testate intorno al mondo in questi giorni. Ma ascoltatevi You Kill Me With Silence e Face For Today e capirete dove si estende la vibrante new wave stretchata per 30 anni e riconsegnata a noi, riveduta e corretta. È un disco da ascoltare in sequenza, senza shuffle e spezzettamenti, come suggeriscono gli autori stessi. Non vi verrà voglia di saltare nessuna delle stanze di questo museo dei suoni.