Il Premio Oscar ripercorre alcune tappe della sua vita, tornando nella Napoli della sua gioventù
Paolo Sorrentino presenta a Napoli È stata la mano di Dio: «In questo film l’unico riferimento cinematografico è Troisi regista»
Dopo la Mostra del Cinema di Venezia, Paolo Sorrentino presenta a Napoli il suo ultimo lavoro cinematografico È stata la mano di Dio, da lui scritto e diretto, prodotto da Lorenzo Mieli e Paolo Sorrentino una produzione The Apartment, società del gruppo Fremantle, È stata la mano di Dio uscirà in 250 sale cinematografiche dal 24 novembre e su Netflix il 15 dicembre 2021.
Il Premio Oscar Paolo Sorrentino, in È stata la mano di Dio, ripercorre alcune tappe della sua vita, tornando nella Napoli della sua gioventù, per raccontare una storia più personale e decisamente più emozionale di tutte quelle che ha raccontato nei suoi precedenti lavori, i cui elementi essenziali sono il destino, la famiglia, lo sport, il cinema, l’amore e la perdita.
«“È stata la mano di Dio” – racconta Paolo Sorrentino – era nella mia mente da molti anni e che ho trovato il coraggio di fare perché era arrivato il momento giusto, poi avevo compiuto 50 anni e mi sembrava un bel traguardo. Avevo una grande voglia di tornare a fare un film a Napoli, dove questa città fosse protagonista. Mi piaceva questa idea, che ho visto anche come possibilità di svago, durante un periodo che è stato lungo per tutti. Non ci sono ragioni particolarmente profonde che mi hanno spinto a realizzare questo film, o se ci sono non mi piace conoscerle. Ho affrontato la città sulla base dei luoghi che frequentavo da ragazzo, quindi c’è casa mia, il posto dove vivevo, proprio nello stesso palazzo, giusto un piano sotto, poi c’è la scuola, i luoghi che ho scoperto quando avevo 17, 18 anni. Non sono stato guidato da un’idea di Napoli, ma semplicemente da un’idea della città che era quella della mia adolescenza e dei luoghi che sono stati fondamentali per me sulla base di eventi che mi sono capitati. Questo film non ha molti riferimenti cinematografici, fatta eccezione per quelli legati ai film diretti da Massimo Troisi, che io ho amato tanto e a cui sono debitore. Ci sono diverse scene in cui si respira la stessa atmosfera del cinema di Troisi, tra cui l’ultima quella che chiude il film».
Incentrato negli anni ’80, il film vede al centro della storia Fabietto Schisa, un ragazzo le cui vicissitudini si accomunano a quelle del suo stesso autore. Una vicenda costellata da gioie inattese, come l’arrivo della leggenda del calcio Diego Maradona o da scene di vita quotidiana, rappresentate da una famiglia chiassosa, a volte travagliata, ma tuttavia molto divertente, con genitori volubili, che nonostante i difetti, si amano ancora. Poi, un giorno, un inspiegabile incidente capovolge ogni cosa. Fabietto, quindi, si troverà a dover trovare un modo per superare la profondità della tragedia e venire a patti con lo strano gioco del destino che lo ha lasciato in vita, proprio come fece un tempo Sorrentino negli anni della sua gioventù. Un dolere che oggi, a distanza di anni, e con l’uscita di questo film, si è ripresentato, ma in una forma diversa.
«Sono mesi che sto parlando di questo film – continua Sorrentino – quindi il racconto del dolore è diventato quotidiano, anche noioso, che è un bellissimo modo per risolvere i propri dolori, cioè annoiarsi dei propri dolori. Il dolore non lo racconto più a me stesso, ma agli altri e questo è di grande aiuto. Annoiarsi credo sia una bella scorciatoia per non occuparsi più delle pene».
In un intreccio tra finzione e realtà, il film ricostruisce in modo meticoloso la città e l’atmosfera della famiglia in cui il regista è cresciuto.
Un film forte, vero, che attraverso un racconto semplice, diretto, mette in luce un’evoluzione nella tecnica di composizione, con l’ironia intensa e la stilistica formale che da sempre sono gli strumenti distintivi nella scatola degli attrezzi di Paolo Sorrentino.
Dopo il successo all’ultima Mostra del Cinema di Venezia, il film rappresenterà l’Italia nella selezione per il Miglior film internazionale agli Oscar 2022. Ma prima di conquistare Hollywood come è avvenuto nel 2014 con La grande bellezza, Sorrentino presenta il suo ultimo capolavoro nella sua città natale. «L’emozione più grande è quella di aver presentato il film a Napoli. È stato come partecipare al mio matrimonio, anche perché qui il film viene compreso in tutte le sue sfumature, una prova non facile da affrontare. Il mio sentimento è di profonda emozione e anche gratitudine per tutti i presenti».
Il cast è composto da Filippo Scotti, Toni Servillo, Teresa Saponangelo, Marlon Joubert, Luisa Ranieri, Renato Carpentieri, Massimiliano Gallo, Betti Pedrazzi, Biagio Manna, Ciro Capano, Enzo Decaro, Lino Musella, Sofya Gershevich, Dora Romano.
Toni Servillo che nel film interpreta Saverio Schisa racconta: «Il mio personaggio è quello di un padre, che si nasconde dietro la sua incapacità a volte di non essere all’altezza del ruolo, ma nonostante tutto finisce anche per essere simpatico nella sua cialtroneria. Tra l’altro poi con una moglie così appassionata di scherzi, era difficile non rendere divertente questa coppia che va verso un destino tragico. Credo che Paolo abbia messo in circolo diversi argomenti in una città come Napoli così capace di accoglierli, creando una connessione tra queste paternità che si alternano tra un limbo e l’atro, come il calcio, lo spettacolo, la religione e la famiglia».
Teresa Saponangelo che nel film veste i panni di Maria Schisa afferma: «Quando ho fatto il provino, la prima cosa che mi ha detto Paolo è che mio marito sarebbe stato Tony Servillo. Quindi era fondamentale creare una coppia credibile, calda, comunicativa e tutto quello che voleva esprimere Paolo, dal punto di vista affettivo e sentimentale. Quindi, nonostante quella preoccupazione che si ha quando si fa un provino, sapevo di appartenere in qualche modo ad una famiglia simile a quella di Paolo, perché il fatto di aver lavorato con Toni Servillo a teatro, mi rendeva tranquilla di lavorare, per cui la scelta di Paolo è stata il riconoscimento di un percorso affettivo, familiare che ho fatto nella mia carriera. Questa madre che mi è stata consegnata è un ruolo importantissimo e ho cercato di trasmettere con tutte le forze quello che è il mio modo di essere madre, che poi l’ho ritrovato in piccolissimi dettagli della sceneggiatura».
Filippo Scotti che interpreta Fabietto parla del suo ruolo e del suo esordio sul grande schermo: «Per me è stato davvero un onore prendere parte a questo film. Quando Paolo mi ha scelto ero davvero emozionato e felice. Per me la famiglia è nata veramente. Con Marlon Joubert che nel film interpreta mio fratello Marchino è nato un rapporto molto bello, che è andato avanti anche dopo le riprese del film. Anche con Teresa ho legato molto, credo che sia molto simile a mia madre, quindi è stato per me anche più semplice il percorso. Con Toni mi sono sentito a casa. Credo che il merito di aver dato la giusta credibilità alla famiglia Schisa, sia principalmente merito di Paolo che ha saputo individuare ogni singolo componente».
Luisa Ranieri che interpreta Patrizia, la zia di Fabietto: «Io sono la nota stonata della storia. Sicuramente Patrizia nella famiglia rappresenta il problema ma anche la parte fuori dagli schemi, la donna in cui Fabietto vede la sua parte creativa, quella che riesce a vedere oltre, qualcosa che non c’è come il monaciello. Patrizia è forse una donna con un disagio mentale, depressa, ma questo non lo sappiamo. Lei una diversa, non sta nelle corde della famiglia e a volte è l’elemento di disturbo. Tra le righe della sceneggiatura avevo colto quello che probabilmente Paolo voleva dal personaggio, ovvero una donna che fosse normale, ma allo stesso tempo capace di esprimere questa sua diversità che vuol dire tante cose».
Marlon Joubert, nel film Marchino Schisa sul suo ruolo dice: «Trattandosi di un film che parla di gran parte della famiglia, essendo stato chiamato ad interpretare il fratello maggiore di Fabietto, è stato semplice perché ho dovuto attingere dalla mia di famiglia, quindi sono andato a pescare atteggiamenti e dinamiche familiari che conosco benissimo e che la sceneggiatura mi permetteva di inserire tra una battuta e l’altra. Il cast di attori scelto per questo film fa sì che entri in automatico in una situazione familiare, perché hanno dei suoni delle voci, che ti avvicinano, ti toccano.