Si chiama “Panorama Sonoro / This Land is my land” èd è un un progetto molto interessante degli Elettronoir, caratterizzato da performance musicali estemporanee, un tour “perpetuo” di video documenti live in luoghi d’Italia poco conosciuti, dimenticati o alterati, spazi da recuperare, da riconquistare e restituire all’attenzione del pubblico. Gli Elettronoir, nati nel 2005, nel corso della loro carriera hanno prodotto 5 album in studio, suonato in tutta Italia, scritto e prodotto colonne sonore per spot internazionali, spettacoli teatrali, mostre, cortometraggi e lungometraggi, contribuendo alla vittoria del 30esimo Torino Film Festival del film “Fatti Corsari” (Italia, 2012), come del Berlino Film Festival con “L’Ultimo Tango” (Italia, 2015).
“Panorama Sonoro / This Land is my land” è un tour di video documenti live in luoghi d’Italia dimenticati, che avete rivalutato attraverso sonorizzazioni ambientali originali. Quali emozioni vi hanno trasmesso questi luoghi?
«Hai centrato subito il punto cardine di questa esperienza: le emozioni. Muovendoci in luoghi dimenticati ed alterati, che però mantengono qualcosa di unico da raccontare, il mettersi in contatto con le suggestioni che questi posti evocano diventa essenziale. Per ora stiamo girando senza comunicare anticipatamente dove suoneremo. Quindi senza un probabile pubblico interessato. Entrare in confidenza con le trame espresse dall’ambiente diventa un punto cardine essenziale, che rende queste esperienze uniche».
È uscito l’ultimo video di questo tour dal titolo “C.R.G. Casa Renato Guttuso”, in cui la musica accompagna la visione delle opere di Guttuso. Cosa maggiormente vi affascina ed ispira di questo pittore?
«Ho un debole da sempre per Renato Guttuso. Ho letto tanto, frequentato mostre e musei che hanno ospitato le sue opere. Adoro poi in maniera viscerale Palermo e la Sicilia. Guttuso ha rovesciato il mondo. Ha imposto al mondo una visione concreta e reale del quotidiano delle classi disagiate che vivono fra la miseria estrema e la dignità assoluta. Ha sottolineato la bellezza di ogni fragilità umana, la prostituta, ai bambini senza scarpe, l’impiegato schiavo, l’operaio sfruttato, le esplosioni di vita nei mercati, amplificando le voci e gli echi con colori forti, vivi, abbaglianti. Guttuso ha preso le vite di chi osservava intorno a lui restituendoci il valore alto del concetto di vita. Quei quadri poi esprimono una musicalità pazzesca. È per questo che il taglio del video è psichedelico. Immagini che si sciolgono, colori che si mischiano in forme altre, e si ricompongono in continuazione. Un rivoluzionario che ha rimesso l’uomo in quanto, nudo e senza fronzoli, la sua fatica, la sua passionalità, al centro dell’attenzione mondiale, frantumando la visione da cartolina che si ha dell’Italia nel mondo. Tessere un filo sonoro che legasse le nostre musiche alla Sua arte. Lo considero un apice della nostra storia».
Nel video “Pozza” girato in Località Le Pozze, Bagno Vignoni (SI) la performance musicale estemporanea esalta la bellezza e la magia del posto. Perché avete scelto questa location?
«Un po’ ho viaggiato e ti devo dire quei posti sono tra i miei preferiti. Soprattutto all’alba esprimono una bellezza di rara intensità. Ma di posti così se ne trovano tanti in Italia. Bagno Vignoni, e la Val D’Orcia, le abbiamo scelte perché, oltre alle bellezze naturali, sono diventati posti per frequentazioni estive di ricchi provenienti da ogni dove, mentre d’inverno si svuotano e diventano silenziosi deserti depressi. Invece quei luoghi raccontano i set cinematografici di Tarkovskij, la Vasca di Bagno Vignoni è l’ambientazione di uno dei monologhi più poetici della storia del cinema. I fratelli Taviani hanno mosso scene su quelle colline che hanno contribuito a conferire un linguaggio poetico all’arte cinematografica. Vederlo ridotto unicamente ad un luogo per turisti del nord Europa che alcano i calici del vino per due mesi l’anno lo trovavamo un’ingiustizia. Così abbiamo suonato davanti alla vasca del 1400, e mandato il monologo dello Stalker di Tarkovskij. Abbiamo messo i riflettori su cosa abbia rappresentato quel posto e quanto abbia ancora da raccontare».
La colonna sonora di “Fabbrica” è contraddistinta dal piano che si unisce ad un tappeto di elettronica. È un modo per descrivere il contrasto fra la natura circostante e la modernità rappresentata dalla fabbrica?
Esatto. Il concetto di fabbrica calata in un contesto rurale. Un campagna di una bellezza infinita che viene interrotta da una fabbrica che rimane in vita per pochi anni e poi lascia il suo scheletro consumato ad memoriam di questo esperimento fallimentare che è stata solo violenza. Il pianoforte e l’elettronica sono il nostro carattere distintivo da sempre. In “Fabbrica” abbiamo preso gli estremi di questi due strumenti per sottolineare l’estrema insensibilità ed arroganza di chi, per mero profitto personale, ha guastato un ambiente che parlava un altro linguaggio e deturpato un intero ambiente. Rimane uno scheletro che si staglia nel cielo, ed una musica che racconta di un gigante nato morto».
Come nascono gli Elettronoir?
Dopo la fine di una storia d’amore. Nelle case degli studenti affittate a stanza. Nella musica che girava per radio e non ci piaceva e rappresentava. Nella necessità di dire la nostra. Nella maledetta voglia di vivere il nostro concetto di musica, la nostra musica».
Quali musicisti hanno contaminato la vostra musica?
«Tantissime esperienze. Fra tutti, cito sempre e solo De Andrè. E lo faccio non solo per i livelli di poeticità inarrivabili, ma per l’evoluzione, la curiosità, la ricerca di cui è stato capace di realizzare. Iniziò con una chitarra, ballate di vita e poesia, finì con orchestre e synth a parlare dell’universo che ci esplode dentro, con mille suoni e mille colori, senza mai insegnare niente, sentire dire mai “questo è….”, ma conferendo luce ad ombre silenziose. Lezioni di vita e di arte. Puro Amore».
Quanto siete cambiati musicalmente in questi anni?
«Tantissimo. Essendo una nostra una ricerca artistica, non poteva essere altrimenti. Non abbiamo mai replicato la stessa canzone o musica in alcun disco. Non abbiamo mai ripetuto nulla. Tutto in avanti. Tutto mosso dalla vocazione che ci anima, dai messaggi che di volta in volta dovevamo divulgare. All’inizio eravamo davvero accecati dalla necessità di esserci e farci sentire. Oggi abbiamo imparato ad essere i confidenti di noi stessi, a saperci ascoltare, essere precisi e non lasciare tutto al caso ma raffinare i modi e renderli adeguati a ciò che vogliamo dire. Abbiamo però mantenuto la nostra attitudine punk e la passionalità».
Siete stati premiati al 30esimo Torino Film Festival del film “Fatti Corsari” e al Berlino Film Festival con “L’Ultimo Tango”. Cosa hanno significato per voi questi riconoscimenti?
«Una gioia ed una soddisfazione infinita. Sono quei passaggi che ti fanno capire che la tua proposta è arrivata, è stata presa in considerazione ed a lasciato il segno. Da cani sciolti, da outsider, senza etichette, senza booking, senza editore, senza produzioni importanti, senza essere “gli amici di”, ma spesso avendo la sensazione di essere considerati “i nemici di” (e chissà perché), senza management, con poche risorse da ottimizzare nel migliore dei modi, da autoproduzione totale, e vedere che si può arrivare ovunque se hai idee e ti metti costantemente in discussione senza accontentarsi mai. Purtroppo, non stiamo in Francia, in Germania, In Spagna, dove tali riconoscimenti ci avrebbero dato un po’ di visibilità, o quantomeno smosso una certa curiosità da mettere in evidenza, a cui dare risalto. Qui da noi nemmeno un trafiletto. Ma questo non è un problema nostro, chiunque è libero di connotarsi con chi reputa meritevole. E con questa connotazione ci si qualifica. A luglio 2020 saranno 15 anni dall’uscita del nostro primo disco “Dal Fronte Dei Colpevoli”. Un disco autoprodotto che al Mei del 2005 fu giudicato il terzo migliore esordio discografico di quell’anno. Senza etichetta, spedendo noi la candidatura, senza essere presentati da nessuno. Forse il nostro destino è riassumibile tutto qui: far parlare esclusivamente la nostra musica, dare suono alle nostre idee».