Si va a vedere Francesca Leone e si parte prevenuti pensando di avere di fronte l’ennesima figlia di papà (Sergio Leone, il celebre regista) con molte conoscenze, molti soldi e poco talento e quasi ci si mette l’animo in pace perché almeno non ha avuto proprio tutto dalla vita. E invece, Francesca Leone ha un enorme talento, si esce dalla mostra contenti di averla vista, la vorresti rivedere per buttarti ancora in quei corpi che sono anche montagne, paesaggi archetipi e, a volte, persino lunari. L’artista ritorna a Napoli, dopo l’esposizione di Castel dell’Ovo nel 2009, e presenta alla città 30 opere, parte delle quali inedite, attraverso cui ricostruisce l’evoluzione del suo percorso artistico. La mostra personale allestita al Pan fino al 9 febbraio 2014 s’intitola CorpoTerra (a cura di Marco Tonelli con il coordinamento tecnico – scientifico di Maria Savarese, promossa dall’Assessorato alla Cultura e Turismo del Comune di Napoli) ed è divisa in tre cicli. Nel primo ciclo Primo Piano, del 2008, troviamo una serie di ritratti di uomini che appartengono alla memoria collettiva e che con il loro operato hanno segnato la storia: Lev Tolstoj, Nelson Mandela, cui va ad aggiungersi un omaggio a suo padre. Del secondo ciclo Flussi Immobili Ennio Morricone dice: «sono volti giganteschi che stentano a restare entro i confini della tela, si impongono e catturano prepotentemente l’attenzione”. La forza dell’acqua che incontra quella del corpo in un attimo bloccato e pieno di vitalità, freschezza, voglia di ricominciare.
Il terzo ed ultimo gruppo (il più innovativo), infine, è costituito dalle opere più recenti CorpoTerra, quello dei corpi/paesaggi in cui Francesca Leone porta ad uno step successivo il lavoro affascinante e complesso di Alberto Burri lavorando con la plastica bruciata, mischiata alla pittura e alla tela, che fuoriesce, si sgretola, cola formando capelli, seni, volti. STUPENDI. Siamo pieni di richiami e di estetica che si avviluppano e si sviluppano nel nostro emisfero destro e dobbiamo solo cercarli, comprenderli, divertirci nel cercare somiglianze (non copie) in questi artisti che sanno portare avanti la storia, il lavoro fatto precedentemente. Questa umanità che avanza e si crede moderna è in realtà la più vecchia, ha sguardi secolari ed ha il compito di accogliere il passato, rinnegarlo e poi cambiarlo. E’ su questi principi che scrivo anche di Giuseppe Savarese, architetto e artista di Vico Equense che è stato in mostra al Pan con Di Mari in Mari. Il suo tratto figurativo si poggia leggero sul non-finito michelangiolesco, sulla velocità quasi istintiva di Schiele, sul graffissimo di novellina e twombliana memoria, sulla pop-art, sui volti sensuali di Milo Manara, sui colli lunghi di Modigliani, sulla coscienza del viaggio con le scatole che contengono, che si aprono a e in nuovi mondi. Ma quello che è più importante riguarda la capacità di esprimersi liberamente attraverso una propria strada riconoscibile ma sempre in evoluzione. I richiami sono solo un vezzo, un piacere intellettuale-artistico che non toglie ma aggiunge solo valore. Ovunque vi troviate, se leggete di Giuseppe Savarese o di Francesca Leone non perdete tempo, andate, ne uscirete più ricchi.
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