Confesso che devo ancora capirlo bene questo disco che molto disorienta l’ascolto visto che senza soluzione di continuità si passa da belle trovato pop come “Radio Sportiva” ad una chiusa post rock all’italiana maniera dal titolo “A due come noi”. Novamerica pubblica il nuovo disco di inediti in studio dal titolo provocatorio “A nessuno piace lavorare”. Ragiona con suoni della contemporaneità su nodi esistenziali quotidiani, di sempre… di tutti.
Un titolo che sembra una provocazione. A te piace lavorare?
Si è una provocazione, ma comunque a chi piace lavorare? A pochissimi, e comunque immagino che a una persona non possono piacere tutte le fasi del proprio lavoro. Il mio lavoro non mi piace, mi piace quando vedo che riesco bene a far qualcosa e che vengo pagato per quello che ho fatto, però mentre lavoro di sicuro preferirei fare altro.
Mi piace stare in studio a fare musica, quello sì, soprattutto se c’è qualcun altro che fa il lavoro sporco al mixer e alle cose tecniche. Lì ci potrei stare ore ed ore senza sentire la fatica.
Che poi, carpendo dalle tue parole, significa questo avere una posizione sociale. Ma quanto siamo schiavi in tutto ciò?
Eh ma è come funziona l’umanità, siamo esseri sociali, veniamo considerati in base a quello che apportiamo alla società anche a livello professionale. Non ci vedo nulla di male in tutto questo. Semplicemente ci si deve chiedere dove sta l’equilibrio tra lavoro e resto della vita.
Concetti che in qualche modo reggono in piedi tutto il disco o sbaglio? Con ironia anche…
Probabilmente qua e là sì e in modo non del tutto consapevole, a dire il vero ho pensato al titolo dopo aver finito il disco. In una “Canzone per l’estate” sicuramente il tema del lavoro dell’artista viene preso in giro e messo un po’ in ridicolo.
Un suono che dal pop alle sonorità indie poi vira al rock distorto, quasi apocalittico negli accenni. Tante facce: sei in cerca di una “novamerica”?
Ho cercato di miscelare tutte le sonorità che ascolto e che mi piacciono. Mi piace la roba molto dolce come quella pestata, non volevo rimanere circoscritto in un genere specifico. Apocalittico mi sembra esagerato, forse userei il termine epico: nel finale di “E se poi”, in “A due che come noi” e nel primo brano “Dio è diverso da lei”.
Perché nella canzone d’autore scegli radici italiane, mentre nelle venature rock ti dirigi più verso quel modo inglese di pensare alla forma?
Devo dire che sono andato molto a istinto, non mi piace crearmi dei dogmi o dei preconcetti da seguire, faccio poco lavoro di progettazione e tanto di “artigianato”, mi viene una melodia o un giro di accordi e provo a trovarci le cose che stanno meglio secondo la mia sensibilità e il mio gusto. Non so se è un approccio che paga a livello di mercato ma ho lavorato così e penso che continuerò a farlo.