È stato un annuncio shock che Niccolò Fabi imputa alla necessità giornalistica di trovare un titolo. Dopo la raccolta, il viaggio musicale di Niccolò Fabi si ferma. Ma in realtà forse l’uscita di un disco celebrativo a 20 anni dall’esordio del cantautore romano è uno spartiacque. Con la raccolta appena uscita “DIVENTI INVENTI 1997-2017”, Fabi si guarda indietro in un progetto-racconto che mira a riadattare il suo repertorio alle fasi più recenti della sua carriera. Nei vari formati dell’uscita, le tracce sono riaggiornate con nuovi arrangiamenti e ci sono anche delle rarità che faranno felici i fans.
Cosa ti piace di più di come sei oggi rispetto al 1996?
«Parlare di un certo tipo di argomenti con una gratificazione da parte del pubblico mi fa sentire libero. Quello che racconto nel disco è un viaggio meraviglioso che è un punto di arrivo per un artista. E quando il prodotto di questo gesto di libertà è la cosa che mi piace di più da quando ho iniziato, significa che ho fatto centro. Non credo di poter andare oltre quello che ho fatto. Ora la sfida è fare qualcosa di nuovo, non il falegname o il ristoratore, perché non è che se ho parlato in un modo per anni non me ne frega niente da ora in poi».
Quindi cosa accadrà?
«Non credo di far meglio di quello che ho fatto, per fortuna non c’è solo il fare il cantautore. Voglio prendermi una pausa e pensare a cosa posso produrre, negli ultimi anni ogni concerto è stato una commozione, un abbraccio. Ma il fisico mi sta dicendo fermati, mi devo riposare e vivere la musica come gioco, senza le pressioni. Magari non suonare solo canzoni proprie, ma dedicarmi a un altro approccio. È una prova, non so se riuscirò bene, ma è un dovere anche perché godo di rispetto e fiducia ed è un mio obbligo regalare qualcosa di sperimentale, non la riproposizione all’eterno di me per mantenere il mio status».
Nella musica italiana è una rarità quello che dici.
«I cantanti hanno più paura di rinunciare che ambire. La banalità è all’ordine del giorno nella canzone, se non hai ispirazione è una lagna, nonché una cosa inutile. Chi è seguito ed è responsabile del gusto attuale, dovrebbe essere il primo a rinunciare allo status di primo in classifica e pensare a regalarci di più».
Cosa hai sentito in questi anni?
«Il mio carattere non è da cantante, ho sentito spesso di essere fuori luogo. Non ho carisma o voglia di essere al centro dell’attenzione. Quando sono guardato divento rosso, non sono strutturato per essere Renato Zero, infatti prima ho fatto il musicante e poi il cantante. All’inizio ho sentito un disagio, specie quando ho avuto l’attenzione mediatica televisiva al primo Sanremo nel 1996 e scattò qualcosa di molto forte. Ma lì nacque un personaggio, non io».
Il tempo cosa ti ha insegnato?
«Che non sono forte nella canzone singola, ma ci vuole tempo per farmi emergere. Infatti il meglio arriva nel teatro dopo 2 ore di concerto. Il disagio iniziale è diventata la mia forza comunicativa, lo sento forte e ho trovato il modo artisticamente per esprimerlo, così è diventata una timidezza comunicativa. Non è detto che il pubblico voglia vedere solo artisti potenti. C’è bisogno di persone che a volte ti parlino di cose diverse».