Il nome è uno di quelli che risulta famigliare se avete almeno comprato un disco di musica italiana negli ultimi 10 anni. Niccolò Agliardi, autore milanese, classe 74, ha scritto per tutti i grandi: Laura Pausini, Eros Ramazzotti, fino al prossimo singolo di Patty Pravo che segna il ritorno sulla scena dell’icona pop italiana dopo tante raccolte. La canzone Non Mi Interessa è stata scritta con il frontman de La Fame di Camilla.
Ma oggi abbiamo parlato con Agliardi della sua nuova uscita, come artista individuale che si chiama Fino in fondo un bel singolo di pop italiano presentato con The Hills, il suo gruppo e la voce femminile più interessante degli ultimi tempi, Bianca Atzei. Il singolo è stato nominato ai Wind Music Awards nella sezione Next Generation, poi vinta da Renzo Rubino. «Ho incontrato Bianca, un pomeriggio in studio – racconta Niccolò Agliardi in merito all’incontro speciale con Bianca Atzei – Conoscevo solo la sua voce potente e ruvida. Ho visto una ragazza minuta e timida. Mi ha detto che trovava i miei occhi simili ai suoi: malinconici e divertiti. Le ho chiesto di cantare con me una canzone. Divertendosi, prima di tutto. Sul resto ci eravamo già capiti».
Niccolò non sei nuovo ai duetti. A gennaio hai fatto un singolo con Emis Killa.
«Siamo entrambi giocolieri delle parole, l’ho conosciuto l’anno scorso a Mtv Spit e ci siamo molto presi, perché c’è poesia, c’è un incontro da raccontare di due linguaggi diversi. I rapper di oggi si contaminano, sono aperti. Ecco perché sono grandi.»
Come ti definisci nel panorama italiano?
«Sono sempre stato cantautore, e ora accosto il mio nome al mestiere d’autore, si stanno unendo le due componenti del mio lavoro e mi fa molto piacere. Per me la scrittura è esigenza e urgenza, non sono uno scrittore di mercato perché poi le canzoni che ho firmato vanno in qualsiasi direzione.»
Hai realizzato questo primo singolo con The Hills, chi sono?
«Sono i miei meravigliosi amici con cui suono. Andiamo periodicamente sulle colline vicino a Tortona, in un casolare anni ‘70, viviamo assieme, facciamo le pizze e le grigliate. E soprattutto componiamo perché lo stare assieme ci porta a fare musica che ci viene da dentro. Mi piace molto questa situazione anche perché non siamo un band e quindi non è asfissiante, se capita di non vedersi per mesi poi ci riagganciamo come se fosse sempre stato così.»
Quando hai iniziato a scrivere?
«Ho cominciato a 13 anni, avevo molte idee e mi esprimevo così poi ho fatto un lavoro molto notturno e molto particolare, ero in giro per Milano con un’ambulanza a raccogliere tutte le situazioni di emergenza. E questa esperienza per 7 anni in età giovane mi ha segnato molto, ho visto sempre la vita da due parti e devo ammettere che è stato un grande privilegio e un grande sviluppo di sensibilità. Sempre il confine tra la vita e la morte, non ho mai affrontato quelle notti in maniera indolore. Ma l’ho riportato nella musica, infatti anche quando studiavo lettere la musica era la mia passione sempre, rientra in ogni cosa che faccio. Mi sono laureato con una tesi su De Gregori.»
Quando hai pensato di essere finalmente entrato nello show business?
«Quando ho collaborato al disco di esordio di Lighea nel 1997. Lei si presentò a Sanremo Giovani e alcune canzoni che avevo scritto finirono nel suo cd. I miei erano pezzi autentici, non ho mai voluto essere un manierista e questo ha incuriosito gli altri artisti che poi pian piano mi hanno chiamato anche se io non ho mai pensato a un duetto con i grandi in prima persona.»
Come è cambiata la tua “penna” da allora?
«Ero più criptico a 20 anni che adesso. La mia scrittura sta diventando sempre più diretta. Ad esempio, quello che scrivo per Laura Pausini è in questa direzione. Io per lei ho un amore e intesa viscerale. Ma ora mi sto occupando di un giovane talento di Amici, Edwin che secondo me è molto interessante. È un vero cantante, mi rivedo un po’, scatta quel meccanismo di identificazione che è sano per un sodalizio artistico.»
Ma se dovessi scegliere con chi duetteresti?
«Ermanno Giovanardi dei La Crus perché sono stati dritti al mento e sono ricordati come dei grandi. La rivoluzione individuale parte dalle parole, dalle piccole rivoluzioni interne, e loro l’hanno interpretata benissimo.»
Che cos’è per te un artista?
«Questo è un paese dove ormai ci sono più cantanti che pizzerie. L’artista deve essere speciale non possono tornare i tempi dei cantautori ma abbiamo bisogno della passione. Io lavoro anche al CPM dove insegno ai ragazzi e devo dire che mi fanno ben sperare. Arrivano persone che scrivono per migliorarsi per dare sfogo alla loro creatività. Hanno bisogno di un qualcuno di esterno che li illumini sulle dinamiche di scrittura, perché fare una canzone è un incastro di ingredienti e ci sono delle regole.»
C’è ancora qualcosa per cui valga la pena scrivere canzoni?
«Quello che manca oggi è un nemico perché finché c’era un nemico da abbattere la creatività esplodeva. Oggi certo, ci sono dei demoni che ci opprimono, c’è l’ansia, la droga, la crisi. Ma la politica ha creato un immaginario troppo basso, quello che succede tra i potenti non ispira nemmeno più gli artisti.»
Ti ricordi il complimento più bello che ti hanno fatto gli addetti ai lavori?
«A volte mi prendono in giro dicendomi che ho fatto delle “agliardate” che vuol dire che nel mio piccolo almeno riesco a essere riconoscibile, ho creato uno stile. Se sento una canzone di Fossati la riconosco, e forse agli altri succede con le mie. Poi un ragazzo su un social network di recente me ne ha detta una bellissima: non diventare mai famoso, resta conosciuto.»