Il 31 maggio uscirà al cinema il film “Quello che so di lei” per la regia di Martin Provost, con Catherine Deneuve, Catherine Frot, Olivier Gourmet.
Claire è un’ostetrica meravigliosamente dotata, con un talento naturale nel mettere al mondo i neonati con gesti dolcissimi. Ma nel corso degli anni, i suoi modi delicati, il suo senso di orgoglio e di responsabilità sono entrati in conflitto con i metodi più improntati all’efficienza delle moderne strutture ospedaliere. Più vicina alla fine della sua carriera che all’inizio, Claire comincia a mettere in discussione il suo ruolo e la sua professione. Un giorno riceve una strana telefonata. Una voce riemerge dal passato: Béatrice, la stravagante e frivola amante del suo compianto padre, ha notizie importanti e urgenti da darle e vuole rivederla, trent’anni dopo essere scomparsa nel nulla all’improvviso. Agli antipodi in tutti i sensi, la super-coscienziosa Claire – che rasenta l’inibizione – e lo spirito libero, amante della vita Béatrice, impareranno ad accettarsi l’un l’altra e, rivelandosi reciprocamente antichi segreti, inizieranno a recuperare gli anni perduti.
Un film sull’ amore, non solo di coppia. Le relazioni, i rapporti umani vengono continuamente influenzati dall’ esterno, ma quando è il passato a chiamare diventa tutta un’ altra storia. Il cast di attori è superbo, per non parlare dell’ immensa Catherine Deneuve perfetta nel ruolo della vecchietta tutto pepe ma prossima ad una morte annunciata. Quando il suo personaggio (Béatrice) entrerà nella vita di Claire (Catherine Frot) le sconvolgerà i piani, donandole un altro punto di vista e un approccio alla vita più frivolo ma sicuramente più felice. Da vedere!
INTERVISTA CON MARTIN PROVOST
Come le è venuta l’idea di raccontare la storia di un’ostetrica?
«Io stesso sono stato salvato alla nascita da un’ostetrica. Mi ha donato il suo sangue e questo suo gesto mi ha permesso di sopravvivere. Lo ha fatto con incredibile discrezione e umiltà. Quando mia madre mi ha raccontato la verità su questa vicenda, un po’ più di due anni fa, mi sono immediatamente messo a cercarla, senza neanche conoscere il suo nome. Poiché gli archivi dell’ospedale dove sono nato vengono distrutti ogni vent’anni, di quell’evento non restava alcuna traccia. Mia madre si ricordava che non era giovanissima, quindi sono convinto che sia morta. A quel punto ho deciso di renderle omaggio a modo mio, dedicandole questo film, e, attraverso una protagonista ostetrica di tributare un riconoscimento a tutte queste donne che lavorano nell’ombra, dedicando le loro vite agli altri, senza aspettarsi nulla in cambio. Poi è successa una cosa incredibile. Qualche mese fa, per il mio matrimonio ho avuto bisogno di richiedere un atto di nascita, e non il consueto estratto.
Avevo quasi completato il montaggio del film e con mio immenso stupore ho scoperto che era stata quell’ostetrica, e non mio padre, ad essere andata in comune a dichiarare la mia nascita. Dunque non solo aveva passato tutta la notte con me e mi aveva salvato la vita donandomi il sangue per la trasfusione: era persino andata a denunciare la mia nascita, come per certificare che ero sano e salvo. Ho trovato questo gesto magnifico e da allora ripeto incessantemente il suo nome: Yvonne André. Le devo moltissimo Ciò nonostante, Quello Che So Di Lei è un film che non ha nulla di autobiografico. Non ho voluto raccontare la mia storia: di fatto, mi è servita solo come pretesto per andare oltre ed entrare maggiormente in contatto con una professione che mi ha sempre affascinato. Dunque ho incontrato numerose ostetriche, in primo luogo per comprendere fino in fondo quello che mi avevano fatto la notte della mia nascita ed è stato così, attraverso le loro risposte, che si è progressivamente delineata la storia di Claire. Ho voluto tracciare il ritratto di una donna al tempo stesso alle prese con la realtà della sua epoca, ma anche con un momento di svolta cruciale nella sua vita personale».
Béatrice è l’esatto contrario di Claire, al punto che è difficile a non pensare alla favola di La Fontaine “La cicala e la formica” quando le vediamo insieme. Si tratta di un riferimento intenzionale?
«Sì, lo rivendico a tutti gli effetti. Per me, questo film è una favola, ma più dolce rispetto a quella di La Fontaine, che personalmente trovo terrificante. È una favola nella quale cerco di dire che ciascuno di noi ha il dovere di essere al tempo stesso un po’ cicala e un po’ formica. Claire e Béatrice sono radicalmente agli antipodi, ma poco a poco, questa opposizione diventa fonte di complementarità, di scambio reciproco, di saggezza. Ho una grande paura del conflitto, eppure non possiamo sempre farne a meno in quanto spesso ci permette di andare incontro all’altro nella sua diversità. È quello che accade tra queste due donne. Claire vive un po’ troppo nell’ombra e Béatrice torna nella sua vita per portarle un po’ della sua luce. E per Béatrice, che ha sempre vissuto come un elettrone in libertà, è forse l’occasione di comprendere meglio la sua esistenza, di fermarsi finalmente un istante per accettare il fatto che senza gli altri non siamo niente».
È la prima volta che Catherine Frot e Catherine Deneuve si incontrano sul grande schermo. Come ha immaginato questo incontro?
«Ero sicuro che avrebbe funzionato. Ho scritto questo film per loro due e per Olivier Gourmet. Avevo già contattato Catherine Frot proponendole di interpretare Simone de Beauvoir in violette, ma non aveva accettato. Dopo aver visto quel film mi aveva cercato per dirmi che si era pentita di aver declinato il ruolo. La sua franchezza mi ha commosso e ho continuato a tenerla in mente. E quando è nata l’idea del film, me la sono vista davanti, china su di me con indosso un camice rosa, come se mi stesse mettendo al mondo. Da quel momento in poi, tutto si è sviluppato in modo molto naturale. Chi altra se non Catherine Deneuve avrebbe potuto incarnare Béatrice? Il solo fatto che esista mi rende felice. Sembra essere al di sopra delle leggi. E per quanto riguarda Olivier Gourmet, avevo già lavorato con lui in Violette ed ero sicuro che avrebbe formato una coppia perfetta con Catherine Frot. Inoltre, avevamo entrambi voglia di lavorare di nuovo insieme. Quindi ho scritto la sceneggiatura pensando a tutti e tre. Vengo dal teatro ed è importante per me visualizzare gli attori per cui scrivo. Sento le loro voci, scrivo personaggi quasi fatti su misura. La mia unica angoscia era ovviamente che mi dicessero di no. Ma anche in questo caso è stato tutto molto semplice. Nel periodo in cui l’idea del film era appena delineata nella mia mente, sono stato invitato a un festival a Praga e lì per puro caso ho incrociato per strada Catherine Frot che stava girando Marguerite. Ci siamo messi a parlare e le ho detto che stavo pensando molto a lei. Il giorno seguente il caso ha voluto che incontrassi Olivier Delbosc, anch’egli a Praga per la produzione di Marguerite. Gli ho raccontato la mia idea di un film su un’ostetrica e lui mi ha detto “Questa poi! Mio padre è un ostetrico. Conta su di me!”. Non aveva letto neanche una riga. Da quel giorno in poi, ho davvero avuto l’impressione che il destino fosse scritto».
Quello Che So Di Lei è un’autentica commedia drammatica che fa ridere e commuove al tempo stesso. Dopo i suoi tre film precedenti che erano decisamente drammatici, sentiva l’esigenza di introdurre un po’ di leggerezza nel suo cinema?
«Innanzitutto, a differenza dei miei altri film, ho scritto la sceneggiatura da solo. Avevo bisogno di immergermi completamente nel mio universo personale, che forse in fin dei conti è più fantasioso di quanto non fossi disposto ad ammettere. Può darsi che Où Va La Nuit E Violette siano in relazione con zone d’ombra e di sofferenza che ho già esplorato a sufficienza. Davvero, credo che Quello Che So Di Lei corrisponda alla mia natura più profonda. Sono una persona al tempo stesso esageratamente allegra e tendente alla disperazione».