È uno rarissimo strumento modellato e perfezionato dallo studio e dal tempo, la voce di Andrea Devis, il cantautore e vocal coach milanese. Così, il timbro dolce e brillante, l’abilità canora e quella interpretativa consentono ad Andrea Devis, di spaziare con disinvoltura tra brani, stili e generi disparati. “Nella Stanza” è il titolo del nuovo album, che segna il suo esordio in veste di cantautore, un ottimo disco in cui sono evidenti le contaminazioni del pop anni’ 80 e ’90, del rock, dell’elettronica, del funk, del soul, del gospel e del rhythm and blues. “Nella Stanza”, in rotazione radiofonica e disponibile in pre-order su iTunes, racchiude tredici brani, tra cui “Dopo di te” presentata ad Area Sanremo nel 2012, canzone che consentì ad Andrea Devis di classificarsi tra gli otto vincitori di quell’edizione.
“Nella Stanza” – il tuo album d’esordio – contiene 11 brani inediti , tra questi “Dopo di te” e “Posso fare a meno di te”, pezzi che si avvicinano ad uno stile pop anni ’80. Perché ti sei lasciato influenzare da questo stile musicale?
«Quando io ed Edoardo (Morelli, co-autore e arrangiatore di tutti i brani dell’album, nda) ci siamo confrontati sullo stile da adottare per “Nella Stanza” abbiamo seguito le nostre rispettive influenze musicali. Non volevamo imboccare una strada a senso unico ma creare invece una proposta musicale fatta di diversi racconti, con una loro identità e ascrivibili a più generi musicali. Abbiamo spontaneamente attinto molto dalle sonorità degli anni ottanta e novanta perché quelle annate hanno rappresentato per entrambi un vero e proprio contenitore di idee; a lavoro ultimato, ci siamo subito resi conto che il vero collante tra i pezzi era proprio quella particolare sfumatura. E forse, anche un certo sentore nostalgico…».
Il brano “Nella Stanza” che dà il titolo all’album contiene sfumature rock, i cui versi sfociano in un’analisi introspettiva. Come nasce?
«Sono contento di questa domanda. “Nella Stanza” non è certamente il brano più pop e orecchiabile del disco, e il suo voler essere vagamente sofisticato lo rende forse poco immediato. Ma è stata une delle prime canzoni che ho scritto pensando a questo album, e l’ho scritta a più riprese. È un racconto che procede per metafore e immagini, dove ho cercato una bellezza metrica e una suggestione come quella data dai classici del R&B. Alla fine ci abbiamo lavorato in molti, e il contributo di ognuno ha spinto il brano in una direzione nuova. Marco Longo ha suonato il Fender Rhodes e scritto l’arrangiamento vocale, restituendo – a quella che poi è diventata la title-track dell’album – il retrogusto soul che avevo in mente fin dalla prima stesura».
Il disco contiene anche pezzi con un sound tipico del genere R&B come “Zucchero di canna nel caffè (Soli a metà)”. Quali artisti rappresentanti della black music hanno lasciato un’impronta nel tuo cammino musicale formativo?
«Non sono pochi gli artisti che mi hanno influenzato. Senza dubbio le grandi voci degli anni novanta, come Whitney Houston o Sade. Ma anche andando più indietro: Minnie Riperton, Anita Baker, gli Earth Wind & Fire, Prince…».
“This Day” è una delle due cover inserite nell’album. Perché l’hai scelta?
«Volevo inserire un’ultima traccia, a conclusione del lavoro, che esulasse un poco dal resto dei brani. “This Day” è un classico gospel di Edwin Hawkins che fa parte del repertorio del mio gruppo vocale Gospel ConFusion e ho pensato potesse essere una buona idea registrarne una nuova versione solo chitarra, voce e coro. Sono molto legato a questo pezzo, lo canto sempre volentieri e sono felice di averlo scelto come chiusura del disco».
Attraverso i tuoi intensi studi hai plasmato la tua voce, trasformandola in un meraviglioso strumento. Hai studiato con il maestro Seth Riggs ideatore del metodo vocale “Speech Level Singing”. Cosa ricordi di quel periodo?
«Era il 2009 quando decisi di partire per gli Stati Uniti, e fu un periodo splendido. Non solo per l’esperienza con Seth Riggs. Proprio in quei mesi ebbi l’occasione di incontrare Philip Bailey degli Earth Wind & Fire, e di vedere in concerto Aretha Franklin all’Hollywood Bowl. Un altro evento inaspettato fu la morte di Michael Jackson (uno degli “allievi” di punta di Seth Riggs, tra l’altro), che fu percepita in maniera molto forte: continui flash mob di fan addolorati in giro per la città, e un funerale davvero sentito con esibizioni di artisti suoi amici del calibro di Mariah Carey. Ricordo che scrissi molto in quei pomeriggi caldissimi, e che spesso mi perdevo letteralmente tra le corsie di un enorme negozio di dischi di Los Angeles…»
Hai pubblicato in precedenza un album di classici Gospel. Quale di quei successi adori interpretare?
«Ci sono canzoni che entrano a far parte delle nostre vite e ci rimangono, accompagnandoci. When You Believe è una di queste, ma canto sempre volentieri anche la classica Oh Happy Day: l’abbiamo riarrangiata insieme al nostro pianista e compare tra le ultime tracce dell’album di debutto del Gospel ConFusion Vocal Ensemble, uscito nel 2013».
Nel 2012 hai partecipato ad Area Sanremo. Quanto è stato decisivo per la tua carriera?
«Da un punto di vista pratico, l’esperienza di Area Sanremo non mi ha dato così tanto, ma sicuramente a livello di autostima mi ha aiutato molto. Ho partecipato senza pensarci troppo, con una canzone molto sentita e scritta velocemente; sono finito tra gli otto vincitori di quell’edizione, e oggi quello stesso brano, “Dopo Di Te”, è diventato il singolo di lancio del mio primo album. Sentivo di dovere ancora qualcosa al pezzo – rimasto poi in panchina – così l’abbiamo ricantata e riarrangiata, restando però fedeli all’idea originale di una power ballad in stile anni ottanta».