Dopo il clamoroso debutto al Napoli Teatro Festival dello scorso Giugno, riapre la stagione del Teatro Mercadante Il Giardino Dei Ciliegi di Anton Cechov, nella versione di Gianni Garrera, una co-produzione dei Teatri Stabili di Napoli e Verona, con Gaia Aprea, Paolo Cresta e Claudio Di Palma, per la regia di Luca De Fusco (repliche fino a dom. 30 Nov.).
Il Giardino Dei Ciliegi è il primo spettacolo che lo Stabile di Napoli dedica quest’anno al teatro di Cechov (seguiranno, nel corso della Stagione, Le Tre Sorelle e Lo Zio Vanja), ed è forse il titolo più famoso e frequentato del Teatro Russo Naturalistico del tardo Ottocento. Protagonista della vicenda è l’aristocratica Ljiuba (Aprea), di ritorno in Russia dopo una lunga residenza a Parigi. Appresa la gravissima situazione debitoria e lo stato in cui versa il patrimonio di famiglia, Ljiuba è costretta a mettere all’asta l’intera proprietà col suo bellissimo giardino. Ad aggiudicarsela sarà il ricco commerciante Lopachin (Di Palma), figlio di un vecchio servo della nobile casata, con l’intenzione di dividere il terreno in lotti per costruirci villini da vendere ai villeggianti. E così, al tramonto di una classe sociale corrisponde la fine del giardino di ciliegi; all’ascesa di una nuova classe egemone la cementificazione; al nuovo culto del danaro la fine della poesia. “Ho sempre pensato – dichiara De Fusco – che “Il Giardino” fosse una storia nostra: questi nobili decaduti che vivono nell’inerzia, incapaci di reagire ai problemi posti dalla vita, somigliano alla vecchia aristocrazia napoletana incapace di entrare nella modernità. Una delle cause della perenne crisi del nostro Sud sta proprio nell’incapacità che abbiamo avuto di entrare nel Novecento, di vivere la Rivoluzione Industriale”. Di questo è convinto anche il regista russo Andrej Konchalovskij: “Sia la civiltà russa che quella del vostro meridione – afferma – hanno saltato la modernità, diventando direttamente post-moderne”.
Appare dunque naturale la scelta registica di De Fusco di mantenere una certa inflessione dialettale dei protagonisti che, lungi dal sembrare fuori luogo, connota meglio i personaggi e li rende più vivi e vicini al nostro sentire. Del resto, tutto lo spettacolo appare ben strutturato, pensato e agito, con tante opportune invenzioni registiche, in uno stile al tempo stesso moderno e raffinato, di grande rigore e gusto estetici. Grazie anche alle chiare (non solo cromaticamente) scene di Maurizio Balò, i preziosi costumi di Maurizio Millenotti, il disegno luci di Gigi Saccomandi, le coreografie dell’israeliana Noa Wertheim, e le belle musiche originali di Ran Bagno. Quanto agli attori, il nutrito cast è tutto, in egual misura, all’altezza delle aspettative. Ricordiamo, oltre ai bravissimi Gaia Aprea e Claudio Di Palma, Paolo Cresta nel ruolo di Jasha, Giacinto Palmarini in quello di Trofimov, Alfonso Postiglione in quello di Piscik.
Da non perdere.