«Quando è arrivata l’opportunità di far parte del cast di “Natale in Casa Cupiello”, per me è stato veramente Natale, una gioia immensa. Per un attore giovane napoletano, poter interpretare il ruolo di Tommasino non è una cosa qualunque. Per me è il “ruolo”». Questo e molto altro ancora ha dichiarato Adriano Pantaleo nella sua intervista a Mydreams, in cui ha evidenziato alcuni aspetti fondamentali dell’opera eduardiana rivisitata da Edoardo De Angelis, in onda domani sera, martedì 22 dicembre, su Rai1. Nel cast, oltre ad Adriano Pantaleo, anche Sergio Castellitto, Marina Confalone, Tony Laudadio, Pina Turco, Alessio Lapice, e Antonio Miloparla .
Dopo “Il Sindaco del Rione Sanità” ti vediamo nuovamente nel cast di un opera eduardiana che gli rende omaggio…
«Sono veramente super felice perché mi sono ritrovato a lavorare in due rivisitazioni di Eduardo De Filippo. Qualche giorno fa è andato in onda su Rai3 “Il Sindaco del Rione Sanità”, ed è stata la prima grande trasposizione filmica su Eduardo, così forte di cui ne ho fatto parte ed ho avuto il piacere di lavorare con Mario Martone. È stato per me un onore prendere parte a queste due operazioni, che rendono giustizia e omaggiano Eduardo e rilanciano con una nuova visione le sue opere, mettendo in rilievo la sua drammaturgia. La questione legata al fatto che Eduardo non sia riproducibile, non sia adattabile, in realtà credo sia un equivoco tutto nostro, italiano ma ancor più napoletano.
Cosa hai provato quando ti hanno proposto la parte?
«Quando è arrivata l’opportunità di “Natale in Casa Cupiello”, per me è stato veramente Natale, una gioia immensa. La mia prima impressione è stata quella di dire ma come si fa? Poi una volta metabolizzato la proposta, ho capito che fosse un’occasione imperdibile, incredibile e che dovevo affrontarla non pensando a tutto quello che significava. Per un attore giovane napoletano, poter interpretare il ruolo di Tommasino non è una cosa qualunque. Questo per me è il “ruolo”. Durante la conferenza stampa ho dichiarato che secondo me, per un attore napoletano interpretare il ruolo di Tommasino è come per un qualsiasi altro attore recitare Romeo o Amleto, nel senso che è il ruolo a cui uno ambisce e spera di poter interpretare».
Come ti sei avvicinato al personaggio di Lucariello e cosa ha rappresentato per te interpretarlo?
«Prendere parte a questo progetto non è stato solo un motivo gioia, una grande emozione, ma anche una grande responsabilità. Dover provare a riproporre il ruolo di Tommasino, dopo delle grandissime interpretazioni come quelle appunto di Luca De Filippo, Pietro De Vico, ma anche di Massimiliano Gallo nella versione teatrale diretta da Carlo Giuffré, non è stato semplicissimo. Ho provato a dimenticarle il più possibile, proprio perché tanto so che quella tradizione, che quel patrimonio è già dentro di me. Mi sono reso conto, lavorando a questa seconda opera, che Eduardo è continuamente nel nostro quotidiano. Eduardo ha influenzato e continua a influenzare le dinamiche di vita, dei rapporti tra essere umani, come tutti i drammaturghi del resto, parliamo di Dostoevskij, Shakespeare e tanti altri. Quindi ho cercato di affrontarlo come un personaggio scritto oggi, provando a dargli una nuova vita, guidato da Edoardo De Angelis, insieme a Sergio Castellitto. Insieme abbiamo cercato di dare una chiave un po’ diversa, dando molta importanza a quello che avviene nel terzo atto. Quando questa famiglia si trova davanti a questo grosso shock e in qualche modo crolla, Tommasino – colui che era il più sottovalutato- in qualche modo cerca di reagire in maniera più matura. Lui si prende questa grande responsabilità di portare avanti questa famiglia e provare a superare questa crisi, stando accanto al padre notte e giorno, accudendo la madre. C’è una scena molto bella che ha aggiunto Edoardo, in cui Ninuccia, da sola sul terrazzo a fumare, con le lacrime agli occhi – poiché porta con sé il peso sulla coscienza di essere in qualche modo la responsabile della tragedia, anche se così non è – viene raggiunta da Tommasino, l’unico che pare capire la sofferenza della sorella, il quale l’abbraccia, le sorride, la prende per mano e l’accompagna in camera da letto al capezzale del padre, dove al suo fianco c’è Concetta, la madre. Tommasino in un gesto simbolico abbraccia la sua famiglia, evidenziando ancor di più una maturità del personaggio».
Com’è stato essere diretto da Edoardo De Angelis?
«Lui è stato un grande direttore d’orchestra in questo concerto filmico, in cui appunto anche il lavoro della scelta del cast è stato curato nei minimi particolari».
Qual è stato invece il rapporto con Castellitto e gli altri attori del cast?
«Oltre ad aver avuto la grande possibilità di interpretare questo ruolo, devo dire di essere stato fortunato a far parte di un cast con attori del calibro di Sergio, Marina, che è un’attrice che io amo profondamente, la stessa Pina Turco con cui non avevo mai lavorato, Tony Laudadi, Alessio Lapice, Antonio Milo. È stata veramente una grande esperienza. Lavorare con un cast del genere, composto da attori che sono anche autori, ti dà la possibilità di sentirti sicuro di poter proporre, di poter fare delle piccole cose che dall’altra parte vengono accolte, rilanciate. È stato veramente bello lavorare con Sergio, che considero un attore straordinario, in Italia ce ne sono veramente pochi come lui. Sergio ha una personalità e un’aurea veramente molto potente, quindi quando ti confronti con un attore del genere o resti schiacciato oppure ti arricchisci e ti dai una possibilità, questo dipende sia da te ma anche dall’attore, che nel caso di Castellitto è stato molto generoso con me. Tra di noi si è instaurato un rapporto professionale e anche umano, che ci ha permesso di trovare delle belle sfumature. Il cinema ti dà la possibilità che il teatro non può darti, che è quella di lavorare su uno sguardo, un gesto, e questo è quello che arricchisce tanto l’opera di Eduaurdo stesso rispetto a quello che solitamente siamo abituati a vedere. Ad esempio Sergio ha proposto, in accordo con Edoardo, di lavorare anche sul rapporto fisico tra questo padre e figlio. E quando dico fisico, parlo anche di un rapporto fatto di schiaffi, di calci e subito dopo di una carezza, di uno sguardo di intesa. Natale in Casa Cupiello è un continuo oscillare in un equilibrio molto preciso tra farsa, realtà, commedia, tragedia, grottesco, realistico ed è sempre molto difficile, ma anche piacevole stare su questo filo di funamboli, pronti sempre a riprendere l’equilibrio e a non a cadere né da un lato e né dall’altro».
Natale in Casa Cupiello fa parte di una trilogia. Quali saranno le altre due opere di Eduardo De Filippo dirette da Edoardo De Angelis?
«Dopo Natale in Casa Cupiello seguirà Non ti pago, le cui riprese dovrebbero partire in primavera, mentre sul terzo capitolo della trilogia stanno ancora lavorando, credo che lo comunicheranno inizio anno nuovo. Non so ancora se io ci sarò, ovviamente per me sarebbe straordinario continuare un lavoro sui personaggio di Eduardo. Nei mie 30 anni di carriera non mi era mai successo, come negli ultimi anni, di lavorare su Eduardo e questa cosa mi dispiaceva, quindi non posso che ritenermi fortunato, soprattutto per aver lavorato a stretto contatto con Martone e De Angelis».
Tu sei molto impegnato con il teatro, in particolar modo con il Nest, di cui sei uno dei fondatori. Com’è stato quest’anno per te, per la tua squadra e cosa state progettando per il prossimo anno?
«È stato un anno a dir poco disastroso, sia dal punto di vista personale, sia dal punto di vista collettivo. Oltre a rivestire il ruolo di attore, sono membro del Nest e insieme a questa compagnia gestisco la direzione artistica di un teatro di 100 posti. Questa pandemia ha evidenziato e ha portato alla luce una serie di criticità credo ataviche che esistono nel sistema giuridico e politico dell’attore. Anche per le compagnie è stato un anno molto complicato, perché gli spettacoli sono stati tutti annullati e gli aiuti che il Governo ha messo in campo sono arrivati esclusivamente per i teatri superiori ai cento posti. Senza scendere in polemiche, ad oggi, una cosa che tengo a segnalare è che i teatro sotto i cento posti non hanno percepito quasi nulla, parliamo di pochi spiccioli. Questo significa che molti di questi teatri non riusciranno a sopravvivere e questo a mio parere significa non guardare realmente al futuro. Se noi oggi analizziamo i cartelloni dei grandi teatri, molti dei nomi che vediamo sono nati sui piccoli palcoscenici come il Nest e tanti altri teatri a Napoli e nel resto d’Italia, che hanno dato loro la possibilità di formarsi e sperimentare. Se oggi vengono a cadere queste piccole realtà formative quale sarà il futuro delle piccole compagnie e del teatro? Per fortuna molti attori si sono uniti e da questa unione sono nate una serie di iniziative che stanno portando già dei grossi risultati per la tutela e la costruzione del ruolo giuridico dell’attore. Per quanto concerne il Nest, abbiamo una serie di proposte artistiche che vogliamo presentare nel 2021, ma stiamo aspettando se e come poterle mettere in campo».