Andrà in onda in prima tv su Rai3 il 19 luglio alle 00,10 per il ciclo Doc3 – Il cinema del reale, Nata Femmena, il documentario di Pasquale Formicola e Elisabetta Rasicci, che indaga la trasformazione del “femminiello” napoletano, sdoppiatosi attualmente nella figura globalizzata della transgender e della drag queen. Una figura che, nella Napoli bersagliata dai media e trasformata in una moderna Gomorra, sopravvive al passare dei secoli. Attraverso gli occhi di due personaggi viene raccontato come oggi la città affronta il tema della tolleranza nei confronti della comunità LGBT.
L’intero documentario, prodotto da VeridisQuo, viaggia su due linee di narrazione: ad Aversa c’è Alessia Cinquegrana che per lo Stato Italiano è una donna a tutti gli effetti, eppure non si è ancora sottoposta all’operazione chirurgica finale. Nel luglio del 2017 ha sposato Michele con un rito religioso scontrandosi ferocemente con i dogmi della Chiesa Cattolica. La voglia di riscatto sociale di Alessia passa dal mega matrimonio all’inizio di un’attività imprenditoriale. Con la possibilità, offerta dallo stato italiano, di usufruire di fondi di sviluppo per le imprese giovanili, Alessia ha aperto un negozio di abbigliamento femminile. Eppure manca ancora qualcosa. Davanti al Santuario della Madonna dell’Arco, Alessia prega per ottenere un’ultima grazia: il suo ultimo desiderio è quello di poter diventare madre, adottando una bambina. Alessandro Saggiomo è un giovane piastrellista di Scampia, ma di notte si trasforma in Mamy O’Hara, una drag queen difficile da non notare. La forza di Alessandro sono i genitori che lo hanno sempre appoggiato e seguito facendogli quasi da assistente. Mamy ci racconta che non ha alcuna intenzione di diventare una trans perché si sente maschio. Ma il suo sogno è di diventare una star e per questo partecipa ad un talent show che va in onda su di una tv privata napoletana.
A fare da fil rouge uno dei più influenti drammaturghi napoletani, Enzo Moscato, che negli anni ’80 ha utilizzato nel dramma “Scannasurice” il personaggio di un femminiello come simbolo della globalizzazione della cultura napoletana.
A Napoli con il termine “femmenèlla” ci si riferisce ad un maschio omosessuale con espressività marcatamente femminili. Spesso sovrapposto alla più diffusa realtà transgender o transessuale. La figura del “femmenèlla” esiste da molto tempo nella tradizione campana, all’interno della quale riesce a godere di una posizione relativamente privilegiata grazie alla sua partecipazione ad alcune manifestazioni folkloristiche (a volte anche di ambito religioso come la “Candelora al Santuario di Montevergine ad Avellino” oppure la “Tammurriata” alla festa della Madonna dell’Arco). Oggi, invece, con il progressivo impoverimento culturale del paese assistiamo a manifestazioni di intolleranza nei confronti di una categoria un tempo integrata ed apprezzata nella comunità. Nelle generazioni più giovani si assiste oggi al doppio fenomeno dell’inculturamento, per il quale alcuni di coloro che in passato si sarebbero definiti femminielli oggi si definiscono semmai “trans”. Mancando un supporto ideologico all’interno della comunità si crea terreno fertile per la nascita di incomprensioni in ambito familiare per i trans napoletani, che si vedono emarginati all’interno delle loro stesse famiglie. “La gente parla” è la motivazione sulla quale si ergono i timori e i pregiudizi di madri e padri di trans dichiarate, operate o in transizione.