Mercoledì 11 giugno 2014, in occasione del Napoli Teatro Festival, è stato presentato presso il Teatro Galleria Toledo la trasposizione del romanzo di Daniel Glattauer “Le ho mai raccontato del vento del nord”. Sulla scena solo gli attori Chiara Caselli e Roberto Citran guidati silenziosamente dal regista Paolo Valerio.
Una storia epistolare ambientata nel 21esimo secolo, una storia di parole che si rincorrono veloci senza però perdersi nell’etere. Una storia di mail e messaggi istantanei eppure… sulla scena troviamo tutto, tranne che gli schermi dei due pc.
Questo perché Emmi e Leo non si scrivono, ma sussurrano. Le loro parole si incrociano per caso, continuano ad intrecciarsi per scelta. I due si innamorano lettera dopo lettera, indagano nelle loro anime parola per parola, arrivano a denudarsi, dimenticandosi di tutto il resto.
Diventa così irrilevante il matrimonio di Emmi e la relazione appena chiusa di Leo. I rispettivi compagni della loro “parallela vita reale” si trasformano in semplici nomi.
Le voci di Caselli e Citran diventano sospiri appesi a delle virgole, esclamazioni dopo due punti, le voci dei due attori sussultano e fanno sussultare il pubblico in platea.
Come in tutte le storie d’amore, anche in questa domina la banalità: eppure sono tutte le banalità di questa storia a rendere incredibile la passione virtuale.
Emmi e Leo si aspettano, ancorano la loro esistenza a una casella di posta che diventa la prima e ultima cosa da controllare durante la giornata. Le loro certezze, i loro caratteri forti stregano il pubblico.
In platea si assiste a continue confessioni: ogni singolo spettatore diventa protagonista di profonde dichiarazioni, si scava nell’animo umano e gli enigmatici protagonisti non risultano essere poi così misteriosi alla fine della storia.
Molto spesso Emmi e Leo cercano un punto di contatto, decidono di incontrarsi: perché grazie alle loro parole riescono ad immaginarsi e vedersi dentro, ma la sottile linea tra reale e virtuale resta ciò che non può far cambiare le cose. Sono al punto di non ritorno, non vogliono però intaccare il punto di svolta.
La narrazione continua così tra attese istantanee e connessioni veloci, continua grazie a un sottofondo musicale (curato da Andrea Cipriani) che sostituisce i silenzi e carica di sfumature le parole già colorate.
Al centro della scena la solitudine di entrambi i protagonisti, solitudine che è poi quella dell’umanità stessa. Al centro della scena la paura dell’ignoto, di chiudere finestre al vento del nord e di aprire porte a un cuore pulsante. Al centro della scena un amore nato per una “e” messa davanti a una “i” e l’esitazione a voler assaporare fino in fondo cosa ci sia dietro lo sbaglio epistolare.
Finale aperto, spettacolo con tante prospettive da cui guardare la stessa scena. Finale però con un’unica certezza: “Capita sempre quel che si vuole che capiti”.
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