Emir Kusturica torna dietro la macchina da presa, dirigendo Monica Bellucci nel suo Na mlijecnom putu (On the Milky Road, “sulla via lattea”). Il film, presentato oggi al settantatreesimo Festival del Cinema di Venezia, vede lo stesso regista recitare nei panni di un lattaio che sfida ogni giorno il furore della guerra dei Balcani. Un soldato è in procinto di sposare una splendida donna italiana (Monica Bellucci), ma la di lui sorella, che si occupa dei preparativi del matrimonio, è ammalata d’amore per il misterioso lattaio; l’uomo rimane però folgorato dall’italiana, che lo segue in un’avventura romantica piena di rischi ed incertezze.
Lo stile di Kusturica, anche se fiacco, è inconfondibile; sospinta dallo sfondo narrativo cruento, la pellicola è una fiaba improbabile, in cui asini, falchi e serpenti ghiotti di latte si intrecciano ad una pioggia di citazioni colte sul cinema e la letteratura d’autore. On the Milky Road è un delirio di immagini e suggestioni, fortemente legato al passato di un Kusturica che sembra non riuscire a tornare agli antichi splendori; la figura del ricordo, oltretutto, si insinua anche nel film, sotto forma di un finale agrodolce e tormentato dai fantasmi di una vita ed una terra ormai vivono solo nella memoria.
Di tutt’altro genere il sentimento maniacale che anima la pellicola presentata in concorso dal regista filippino Lav Diaz, Ang Babaeng Humayo (The women who left, “le donne che se ne andarono”). Trent’anni di carcere ed una lunga riflessione sul tempo passato sono l’alibi dell’anziana donna protagonista del film, intrappolata in un malessere esasperante.
Lav Diaz lavora con inquadrature neutre, delicate, e il favore del bianco e nero affida tutta la profondità umana al senso della narrazione; si tratta di un mal di vivere insostenibile, che si riversa sullo spettatore dalla prima all’ultima inquadratura. Il coinvolgimento emotivo è chiaramente lo scopo primario di Diaz, che, se da una parte sfoggia una tecnica di regia che lo lascia super partes rispetto alla narrazione, emerge invece in tutto il suo potenziale umano nella sceneggiatura, e riesce a caricare ognuno dei suoi personaggi di una particolare sfumatura di dolore impossibile da fraintendere.
Senza dubbio uno dei film più pungenti presentati al Lido, The women who left mette a dura prova la sopportazione del pubblico e rende giustizia al talento di Diaz, rappresentando il peculiare estro artistico del regista filippino in una delle sue forme migliori.