È morto Giorgio Albertazzi. Una perdita terribile per il teatro, per il mondo dell’arte e dello spettacolo in genere. Già perché era un uomo incredibile come diceva lui stesso: “Sul mio passaporto c’è scritto: attore. In realtà faccio anche il regista, lo sceneggiatore, il riduttore di romanzi per la televisione e ora l’autore teatrale. Alcuni amici sostengono che il mio vero mestiere è l’attore. Altri dicono che dovrei soltanto scrivere. Altri ancora che non dovrei mai più fare una regia teatrale. Chissà quali sono fra questi gli amici autentici?”
Personalità controversa, Albertazzi è stato architetto, attore, regista, autore e anche fotografo. Toscano (nato a Fiesole), debutta con Luchino Visconti al Maggio Musicale Fiorentino in “Troilo e Cressida” di Shakespeare. Dal 2003 dirige per cinque anni il Teatro Argentina di Roma.
Giorgio Albertazzi è stato il performer più imprevedibile della scena italiana e non solo. Memorabile il suo “Amleto” per la regia di Franco Zeffirelli, in cartellone nel 1964 per due mesi all’Old Vic di Londra e vincitore del Challenge al Thèatre de Nation di Parigi.
Il suo “Enrico IV” nei primi anni ’80, regia di Antonio Calenda, apre una crepa formidabile nel mondo teatrale italiano, tanto che si può parlare di “prima” e “dopo” Enrico IV per capire l’evoluzione o no della scena italiana, nel rapporto tra pagina e scrittura scenica. Sono circa 800 le repliche del suo “Memorie di Adriano” e nel 2004 fa storia il suo “Dante” dalla torre degli Asinelli di Bologna, davanti a ventiduemila persone.
Il re è morto. Viva il re.