Molière uanmensciò (o come volete voi) è il monologo di Fabrizio Falco in scena alla Sala Assoli di Napoli.
La vita, la crescita, gli amori, i successi, le gioie e i dolori del grandissimo commediografo francese raccontata da Falco con garbo, competenza e leggerezza, e con ampie inserzioni di contemporaneità e frequenti
interrogativi e spunti di riflessione rivolti al pubblico.
Ne è venuta fuori un’ora e mezza di monologo fitto, subito ben ritmato e mai stancante, anzi incalzante e a tratti avvincente, frutto di un’affabulazione forbita e varia e di una narrazione attenta e calibrata, piena di particolari
e di aneddoti anche poco noti:
intercalata da riflessioni dense, come quella da subito dedicata al complesso rapporto genitori-figli, con i primi sempre dubbiosi ed in ansia ed i secondi costantemente alla ricerca della propria
identità e giustamente rivolti alla scoperta della propria reale vocazione.
Lo spunto nasce proprio dall’analisi degli esordi di Molière, che rimase presto orfano dell’amata madre e che fu osteggiato dal padre quanto alla scelta della carriera, ma invece incoraggiato in tal senso da un nonno che già
intravedeva in lui la disposizione irreprimibile per il palcoscenico e in particolare per la commedia, che poi era il genere a quel tempo meno considerato ed anche meno battuto.
In questo senso Molière, dopo esordi convenzionali e totalmente insoddisfacenti, individuò presto la propria strada maestra, trovando la cifra distintiva nella caratterizzazione dei personaggi e nella beffarda e a tratti
aspra critica sociale ed umana.
Di questo in Molière uanmensciò (o come volete voi) Falco offre una convincente ricostruzione, attenta in particolare ad evidenziare il rapporto che Molière aveva con l’altro sesso, in una galleria femminile che dalla vita si riversavano direttamente sul palcoscenico:
in effetti il reiterato motto “donna colta, vivace e sensibile” torna più volte attribuito a vari membri di questa costellazione muliebre, e forse Molière fu davvero il primo a comprendere quanto limitata
ed assurda fosse la visione tradizionalista che relegava la donna ad una dimensione ed a un rango minori.
Al centro di tutto c’è comunque la vita complicata dell’artista e in particolare il delicatissimo mestiere di attore, col suo equilibrio psichico sempre un po’ precario,allora come oggi.
Perché in effetti in 350 anni non è che questa situazione sia cambiata o possa davvero cambiare, visto che fare l’attore comporta enormi sacrifici e una dedizione assoluta, spesso male e poco ripagata,
specialmente se si è agli inizi di carriera e se si voglia tentare qualcosa di originale e di non commerciale.
Attraverso il suo Molière uanmensciò (o come volete voi) Falco restituisce delle immagini vivide e realistiche, che a tratti paiono quasi scene da film: una per tutte, la carovana con cui Molière e
la sua compagnia girano di città in città, quando il successo era ancora lontano e le difficoltà (e la miseria) parevano quasi insormontabili.
Da lì, alcune scelte decisive compiute dal nostro:
come quando, con l’ingresso trepidante nella maestosa Parigi di Luigi XIV e la prima, cruciale esibizione al cospetto dei reali, egli comprese come fosse indispensabile abbandonare la tradizionale recitazione in
versi, per far posto ad una prosa duttile e realistica: novità assoluta e rischiosissima per quei tempi.
Poi naturalmente c’è la scelta dei soggetti, che Molière in parte ereditò dalla Commedia dell’Arte e in parte rivisitò o inventò, ma che sempre dovevano essere veritieri e vicini
alla vita reale, e comunque proposti in una chiave ironica e densa di travestimenti ed allusioni:
la gelosia maschile, l’avarizia dei vecchi, l’infedeltà naturale, l’invidia dei colleghi teatranti, l’incomprensione dei pedanti e l’ipocrisia dei bigotti, le astuzie maliziose delle donne, la voluttà
irrefrenabile, i piaceri della carne, la fragilità dell’esistenza e il senso incombente di morte.
Falco è bravo e mantiene sempre un buon ritmo e, pur senza riempire totalmente la scena di sé, poiché in effetti non ha una presenza scenica particolarmente notevole, né
una voce impressionante, dimostra tuttavia una notevole vis comica, specialmente quando imita le voci di imprecisati
interlocutori, ma è credibile anche quando vira improvvisamente dal registro comico a quello drammatico.
Lo diresti somigliante ad un Pif, con il quale condivide qualcosa nei tratti e nel fisico, e forse anche una certa arguzia dialettica.
Dopo averci rammentato e ben sintetizzato le trame di capolavori immortali come “La scuola delle mogli”, “Le preziose ridicole”, “Don Giovanni”, “Il misantropo”,“Tartufo” e “L’Avaro”, il finale è drammatico, poiché narra
di Molière in punto di morte.
Una lacrima riga il viso del vecchio attore, al pensiero che, pur essendo gli affanni e i dolori fattisi ormai intollerabili, più forte ancora rimane il senso di nostalgia:
una nostalgia non per non aver vissuto, ma al contrario per aver troppo vissuto e troppo amato, e una tristezza all’idea di dover lasciare quanto si ha di più caro, la propria vita.