Certe vite sembrano programmate per essere normali. Max, per esempio, è nato a Pavia da una famiglia di ex lavoratori dipendenti, sempre impegnati a far tornare i conti nel negozio di fiori che avevano appena rilevato. Con i suoi occhiali dalle lenti spesse, era un nerd prima ancora che la parola nerd esistesse: odiava ogni tipo di sport e passava il tempo in soffitta a montare e verniciare modellini di aeroplani, fantasticando su cowboy e invasioni da parte di eserciti immensi. Frequentava gli amici punk, e si teneva alla larga dai compagni di classe della Pavia ricca e paninara, quella dei circoli di canottaggio e dei golfini portati sulle spalle. Al liceo aveva un compagno di classe di nome Mauro, che tutti chiamavano «Flash». Entrambi volevano scappare da lì, dai pregiudizi dei compagni e della loro città. E così, insieme, hanno deciso di fare musica, per raccontare qualcosa che li rappresentasse davvero.
I cowboy non mollano mai è la storia di Max Pezzali: i primi amici e i primi nemici tra i banchi di scuola, le serate al bar e quelle trascorse in cantina insieme a Mauro, a scrivere canzoni e sognare l’America. E poi l’incontro decisivo con la musica: il punk, il post punk, il rap, Springsteen. Il successo inaspettato e l’epoca d’oro degli 883, l’esperienza alla Croce Rossa, le piccole sfide quotidiane e i grandi viaggi che ti fanno scoprire il mondo, le donne, la carriera solista, le tournée nei palazzetti e i rapporti difficili con la critica musicale italiana, la famiglia. E alla fine un figlio, da crescere e a cui raccontare tante storie fantastiche.
Certe vite sembrano programmate per essere normali, finché a un certo punto succede qualcosa che le fa diventare straordinarie.
«Ci ho pensato tante volte e forse non è una teoria così assurda: credo che gli 883 degli esordi abbiano avuto, nel loro piccolo, una funzione simile a quella dei Sex Pistols nei loro famosi concerti di Manchester. Nel 1976, tutti i ragazzetti che poi sarebbero diventati i Joy Division, gli Smiths, i Simply Red e tutte le altre band cittadine dell’epoca, andarono a vedere i Sex Pistols in concerto. Negli anni dei Genesis e dei Led Zeppelin, vedevi i Pistols che facevano quella roba lì, con quell’energia, quella spontaneità, e pensavi: “Voglio farlo anch’io!”. Perché i Led Zeppelin e i Genesis non li potevi fare comunque. Non li avresti mai saputi fare, erano tecnicamente irraggiungibili. Il grande merito che riconosco ai primi 883 è stato proprio quello di aver fatto capire a un sacco di ragazzi che si poteva fare. Non bisognava essere belli per forza, non bisognava essere tecnici per forza, non bisognava essere impegnati per forza. Bastava avere la voglia, l’energia e la testa dura. Molti dei ragazzi che ascoltavano gli 883, adesso sono diventati rapper».
Isbn Edizioni – Uscita in libreria 10 ottobre 2013