Dopo il successo di Sotto Casa e dell’inaspettato trio con Danilele Silvestri e Niccolò Fabi (Il Padrone Della Festa), Max Gazzè è all’apice della sua carriera. E non perde tempo, se, come dice, ha passato l’estate in uno studio di registrazione a creare i dieci pezzi che compongono Maximilian, il suo ultimo disco. “Stavo sperimentando con nuovi strumenti e mi immaginavo un presente diverso, un’altra dimensione. Volevo fare un disco strumentale elettronico, e invece poi sono arrivate canzoni nel vero senso del termine”.
Chi è Maximilian?
«All’inizio volevo fosse uno pseudonimo, e non è detto che non lo utilizzerò nell’immediato futuro. Per il momento è il lato sperimentale di me, il software che è esploso in tutta la sua presenza dirompente mentre componevo. Forse prenderà possesso di me e si farà sentire di più.»
Come hai trovato l’ispirazione per lavorare a questo progetto dopo il successo del trio?
«Non so cosa coscientemente mi ha lasciato quell’esperienza. Forse me ne accorgerò col tempo, per ora so che mi ha insegnato a fare tutto curando dettagli a cui prima non pensavo. La prima canzone del disco è Mille Volte Ancora che è una lettera di un padre a un figlio, che è una cosa che mi è venuta in mente proprio di recente. Bisogna essere bravi nella vita a ricostruire qualsiasi tipo di rapporto ogni giorno. Non adagiarsi, sapere che ogni giorno si può ricominciare. Da qui è nato il mood del disco.»
Chi è Max oggi?
«In Maximilian vedo me stesso, come musicista e compositore, ma soprattutto come sperimentatore. E anche cantante. Ho scritto un brano, Teresa, che è una visione molto attuale di come possono essere i rapporti tra uomo e donna di questi tempi, che sono duri per chi deve prendersi responsabilità. Infatti la protagonista della canzone, torna a casa dai suoi perché si mangia meglio da mammà.»
«Maximilian è il lato sperimentale di me, il software che è esploso in tutta la sua presenza dirompente mentre componevo»
Continui a usare l’ironia come base dei testi. Da dove deriva questa scelta?
«Scrivo con mio fratello Francesco e vogliamo sempre discutere di temi seri ma con sarcasmo. Sono attento al suono delle parole, a volte canto in una lingua che non c’è, tipo l’anglo-napoletano e poi mi accorgo che il testo è già in qualche modo scritto. Non voglio le rime baciate semplici, mi interessa il linguaggio assimilato a una filastrocca. Così escono fuori delle canzoni che catturano anche l’attenzione dei bambini, che solitamente è un’indicazione di riuscita del pezzo.»
Partirai in tour?
«Sì da Pescara il 30 gennaio con uno spettacolo molto articolato, è la prima volta che farò palasport con vari elementi scenografici. Ma da subito farò dei firmacopie del disco negli store di molte città italiane con un set acustico. Non mi piace andare in giro solo per fare autografi, quindi sto organizzando un mini-show con pezzi nuovi e qualche ripescaggio dal passato.»