Una persona gentile e garbata, Matteo Tarasco mi ospita proprio nel giorno dei provini, effettuati presso il Teatro Argot, alle tante ragazze che sognano e sperano di entrare a far parte del suo ultimo impegno teatrale, Eneide. Tanto studio e tanto lavoro alle spalle, per giungere ad una consapevolezza totale della sua metodologia, in un momento non propizio per l’arte, che vive grandi difficoltà sia economiche che strutturali, a tutti gli effetti. È un periodo di tramite. È dalla crisi che nasceranno grandi periodi. Intanto, aspettando un nuovo Rinascimento, attendiamo Enea di Matteo Tarasco. Non perdetevelo!
Chi era Matteo Tarasco prima di diventare regista?
«Sono nato a Verona, una bellissima città, di cultura, di bellezza, di stimoli. Non pensavo assolutamente al teatro, avevo altri sogni, poi mi è capitato di vedere un film, La leggenda del santo bevitore. Il mio sogno era di diventare psicanalista ma, dopo aver visto questo straordinario film di Ermanno Olmi, sono rimasto turbato all’uscita di quel cineforum e pensai che volevo fare un lavoro che potesse consentirmi di generare le medesime emozioni che provai e restituirle ad altre persone; da li ho iniziato a cercare di capire come fare.»
E il tuo amore per il teatro?
«Mi sono avvicinato al teatro, all’ arte, alla letteratura; ho studiato a Bologna al Dams, e subito dopo ho iniziato come assistente di Gabriele Lavia. È stata una grande fortuna perché come nei tempi antichi ho avuto l’ opportunità di fare la bottega presso un artigiano e da lì in poi ho continuato il mio cammino. Ho fatto la mia prima regia, nel ‘99 a Torino, debuttando al Teatro Carignano con Le affinità elettive di Goethe, che abbiamo portato interamente. In pratica ho debuttato facendo la regia di dieci spettacoli, in sequenza e avevo soli 26 anni. Ho visto un teatro che ora non c’è più. È cambiato tutto. Sono positivo in merito, siccome credo che tutto possa cambiare in meglio. La crisi è fondamentale per avere stimoli e per fare cose nuove e belle. Per il mio ultimo impegno teatrale, ad esempio, dietro la storia di Enea cerco di raccontare una storia, che ci riguarda il più possibile. Lo raccontiamo solo con un cast al femminile cioè le donne che l’ hanno incontrato. La moglie Creusa, Didone l’ amante e la Sibilla Cumana che lo induce ad andare nel mondo degli inferi per scoprire chi realmente è. Oggi viviamo in un mondo senza più eroi. Enea è un ombra e basta.»
Come avvengono i provini?
«Sono arrivati quasi mille cv, e da questi abbiamo scelto persone in primis ad impatto visivo, siccome è il punto di partenza di immagini che mi sono prefissato. Abbiamo scelto un centinaio di persone che valuteremo in tre giorni. Da questo, si selezionerà un gruppo più ristretto. Tutte le ragazze sono su parte, che è l unico modo a mio avviso di fare le audizioni, quindi chi è venuto ha avuto modo di imparare la parte in due settimane. Selezionerò una ventina di persone che lavoreranno insieme in un workshop sul testo e da quel gruppo scaturirà il cast, per evitare di avere tra gli attori persone scelte in dieci minuti. Lo metteremo in scena grazie ad una residenza di Argot Dominio pubblico che è una rassegna ed un modo per cercare nuove strade. Dobbiamo sforzarci di trovare eccellenze, che in Italia abbondano.»
In che modo nasce un tuo lavoro?
«Da una ferita; soffro un patimento mio personale e leggendo cerco nei libri delle risposte.
Adoro i classici, magari mi riconosco in una ferita e cerco di cucirmi addosso un vestito e quando me lo sento comodo cerco di farlo leggere ad un attore o attrice capendo se si creano le dinamiche giuste per metterlo in scena. Cerco di attenermi sempre a cose che mi danno sofferenza più che godimento. Immagino sempre di vedere lo spettacolo dal punto di vista dello spettatore. Diceva Grotoswki che il regista è uno spettatore professionista ed io perseguo questa strada. Voglio essere stupito da ciò che non so.»
C’è un regista a cui ti ispiri?
«Ho sempre amato Strehler, e non sapendo ballare neanche in discoteca, mi piace, mi affascina il teatro danza, e invidio chi sa creare spettacoli belli, col movimento come Pina Bausch o Sasha Waltz, che reputo un genio assoluto.»
Con quale grandi attori ti piacerebbe lavorare?
«Uno su tutti Ian Mckellen, che ho avuto modo di conoscere a Londra, dove ho lavorato per un paio di anni. Straordinario e folle. Adoro Michel Piccoli ma il mio sogno è di lavorare con Gianrico Tedeschi. Ci sono andato vicinissimo. È un grande attore e persona straordinaria.»
Cosa significa essere regista e che ruolo ha oggi un attore nella società?
«Un attore ha ancora una grande funzione sociale, possiamo giungere in zone scure di noi o del mondo attraverso l ascolto dell’ altro. L’ attore è un tramite e non un fine. Tu non sei il paradiso ma lo vedo attraverso te. Il regista è una figura destinata a perire, mi auguro quanto prima. È una figura di contorno.»
Quale tua opera portata in scena vorresti riproporre al pubblico?
«Porto e cercherò di riportarlo più volte, Alice, che andrà in scena a Milano al Teatro Menotti, dall’11 marzo ed è uno spettacolo che amo molto. Rappresenta la modalità di un espressione di ferita che si trasforma. Storia di difficoltà di crescere e diventare ciò che si è.»
Hai un sogno nel cassetto?
«Mettere Tre sorelle di Chechov in scena bene, con tanti soldi e tanti bravi attori. Attualmente dispongo di tanti bravi attori ma né di molti soldi, né di molto tempo.»