Credo che sia sempre utile soffermarsi oltre le pieghe estetiche del nuovo pop d’autore italiano. Parliamo di Massimiliano Martelli che torna con un disco dal titolo evocativo e romantico: “Quanto pesa la felicità”. Ennesima bandiera sociale in forma canzone di quanto sia indispensabile tornare alle cose semplici e vere della vita. Siamo di fronte ad un tempo distopico dentro cui inseguiamo cliché fatti di perfezione e non di umanità. Chi stiamo diventando? E di certo Martelli non rinnega la tecnologia, nel suono come nelle soluzioni. Non è questione di passato o di contrarietà nel futuro. È questione di essere o (tornare ad essere) uomini. Ecco il vero peso della felicità. Ecco un disco acqua e sapone, nonostante impalcature digitali ma pur sempre snelle e sincere.
Quanta vita hai voluto racchiudere dentro questo disco?
Nel disco si raccontano pillole, momenti, di vita che parlano di sentimenti, quando questi però smettono di essere coltivati, curati e praticati nei loro fondamentali. Questo è poi il senso comune, il filo conduttore, che lega le mie nuove canzoni. Certo, le storie, le vite, di cui parlo nel disco sono figlie di un tempo, il nostro, in cui vedo diventare sempre più difficile e complicata la comunicazione fra le persone. C’è sempre meno tempo e disponibilità al dialogo, all’incontro con l’altro, alla gestione dei conflitti, delle differenze e delle divisioni. Dobbiamo invece tutti lavorare per tornare ad ascoltare il proprio corpo che respira, il cuore che batte. Per vuotare piuttosto che riempire il proprio ego, in questa corsa e rincorsa a sembrare dei vincenti in una società che spesso ci vende o trasmette una “idea” di felicità o bellezza legata più al benessere materiale della persona e che non ammette o mal tollera debolezze o esperienze negative che fanno invece parte del normale processo di crescita di ciascuno di noi… Ho cercato di condensare tutto questo nei testi dei brani ma al tempo stesso non ho dato risposte, nella precisa intenzione di restare come “in sospeso” proprio perché ogni ascoltatore ne traesse poi spunti e riflessioni sulla base delle proprie esperienze di vita, così da associare alle mie canzoni un tempo, un peso ed uno spazio “personali. Quanto alla mia vita, se presente o no nel disco, posso dire che c’è sicuramente traccia della mia precedente e lunga attività lavorativa, come operatore sociosanitario e assistente domiciliare al servizio di persone fragili in contesti difficili delle periferie della mia città, Roma, dove spesso ogni vita era dedicata a battaglie e lotte di sopravvivenza quotidiana, in un presente fatto di costanti emergenze socioeconomiche oltre che sanitarie.
Un disco ad un cantautore serve per capirla o per raccontarla la vita?
Io credo per entrambe le cose. Un disco in fondo ha una duplice utilità: racconta di un qualcosa perché lo ha compreso (anche quando sembra dire il contrario) e viceversa. Perché, se è vero un disco nasce per raccontare in musica pagine o fatti di vita affinché questa narrazione sia poi credibile e funzioni nell’ascoltatore dev’esserci stato nel cantautore una sorta di processo di analisi, di comprensione e (ri)elaborazione passando anche attraverso l’immaginazione, l’immedesimazione, l’interpretazione, di quegli episodi descritti, sia se questi lo riguardino da vicino sia se egli se ne faccia solo carico come portavoce.
Con “Starò bene” dichiari un intento o una speranza? Per te che significa?
“Starò bene” è una canzone che affonda le sue radici negli attimi che precedono la rottura, unilaterale, di una storia d’amore e nelle sue ore successive. Tutto scorre attraverso gli occhi e le parole di chi è stato appena lasciato. Fa da cornice una spiaggia in una sera d’estate che si fa notte. E celebrato questo addio arriva l’alba mentre intorno tutto dorme ancora. Ecco allora che il protagonista raccogliendo i cocci della storia si allontana, masticando dentro quella frase: “forse dopo starò bene”, che in quel preciso momento assume più una valenza di speranza. Ma, col passare delle ore, dei giorni, io credo quella speranza debba necessariamente farsi intento, che sproni fa a passare fattivamente dallo “starò bene” allo “stare bene”, questo malgrado tutto… Per me ha questo significato ultimo, da tenere sempre a mente, per darmi forza e coraggio quando sembra crollarmi il mondo addosso.
E che sia “Crescere” il vero cuore di questo lavoro, il vero messaggio?
Probabilmente sì, perché in fondo ogni esperienza vissuta e raccontata, nel bene o nel male, si spera porti sempre e comunque le persone a “crescere”. Nella fattispecie di “Crescere” come canzone, questa è lo specchio di un momento di crisi di coppia, dove la chimica e l’attrazione fisica forse più non bastano a far funzionare le cose, fra quotidiane problematiche e inciampi. Dove improvvisamente ci si sente soffocare, si cerca una via d’uscita, si preferisce l’evasione al confronto: quasi ci si sente imbrigliati a fili come per il burattino del video che accompagna il pezzo… E nel non condividere questo malessere, cercando rifugio nei propri egoismi ecco poi si sceglie la via più vigliacca.
Ma se solo i due protagonisti tornassero a leggersi nei cuori magari scoprirebbero che hanno ancora tutto per tornare a crescere, insieme.
Alla fine della fiera, come si dice, hai scoperto quanto “pesa la felicità”
Beh, in un tempo come il nostro dove la società non di rado ci vuole vendere o trasmettere un’idea falsata e “vincente” di felicità, legata più all’aspetto materiale del benessere, della realizzazione personale, ecco dunque che con queste premesse ogni corsa o rincorsa alla felicità rischia di assumere un peso e un prezzo quasi insostenibili. Quello che io posso dire, anche e soprattutto sulla base dei miei lunghi anni di servizio nel sociale, è che ciascuno di noi porta dentro di sé sia luce sia tenebre, il suo angelo e il suo demone, e ogni giorno deve per prima cosa trovare a tutto questo il giusto equilibrio e compromesso, cercando al tempo stesso di vivere in armonia con gli altri e l’ambiente esterno. E che ciascuno di noi ne ha sostenuto, ne sostiene, ne sosterrà sulle proprie spalle un “peso”, se vogliamo un “costo”, del tutto personale, per cercare quello stato di benessere/serenità per sé e i propri cari che possa dirsi felicità, che è credo quantificabile, misurabile più con istanti, frammenti, momenti di vita, che interi giorni, mesi o anni.