Paroleincircolo è il quarto atteso album di Marco Mengoni ed è anche un album che segnerà probabilmente il modo di fare discografia in Italia. le prime 10 canzoni (anticipate dal fortunato Guerriero) sono in vendita oggi, poi ci sarà un tour nei palazzetti a maggio e infine, entro il 2015 si presume, la seconda parte discografica del progetto.
Come ti è venuto in mente di articolare così un anno di carriera?
«Sono stato fermo per due anni ed era il momento di trovare cose nuove da fare e nuovi mezzi di presentarsi al pubblico. Sono nato con le cassette, artisticamente con il cd ma forse questo è l’ultimo disco fisico che faccio, chissà. Non lo chiamo nemmeno disco, per me è una playlist, un progetto unico e diviso allo stesso tempo.»
Che significa?
«Io sono pro-futuro, ho 26 anni ed esploro le potenzialità dei mezzi. Mi hanno dato la possibilità di fare un progetto con un numero di canzoni fluido, cioè adesso esco con un capitolo e poi, la vita, gli incontri, il tour mi daranno stimoli per la seconda parte. Ci saranno canzoni diverse, ma già ho in mente che nel caso di una, poi lo scoprirete, ci saranno degli approfondimenti. È un filo che continua anche nel tour ed è riconducibile a un solo principio: l’attenzione al verbo. Tutti scriviamo in questi tempi ma ci dobbiamo soffermare sul significato delle parole.»
Ti piacciono gli album concept?
«Al contrario, detesto i dischi tutti uguali, tutto lo stesso genere dall’inizio, non è una cosa che mi interessa. Sono sempre portato a difendere e esaltare le diversità e siccome un cantante vive nel mondo e il mondo è fatto di cose diverse, io nelle canzoni voglio mettere quanti più stili è possibile. Non mi curo del tempo che ci vuole per farlo, e per questo prendo i miei tempi. Devo vivere per poter scrivere.»
Guerriero ha avuto un enorme successo. È stata una scelta rischiosa?
«Sì perché ci è costata molte discussioni sull’opportunità o meno che fosse l’apripista, con un testo dove mi sono davvero giocato molto e con una stesura musicale da 162 tracce. Credo fosse dalla fine degli anni 70 o primi anni 80 che non si sentissero cose del genere. Ma è stato frutto di una crescita di vari anni in cui ho incontrato e collaborato con artisti e persone diverse. Questo mestiere ti fa crescere in fretta e in qualche modo volevo dimostrarlo.»
Un altro pezzo fondante di questa nuova produzione qual è?
«Si chiama Esseri Umani e nel testo dico: “Ma quando piangi in silenzio scopri davvero chi sei”. Mette per la prima volta in luce il mio confronto con la società, con le persone che a volte non si guardano e si fermano all’apparenza. Dico cose semplici da ragazzo della mia età ma volevo partire da questo messaggio.»
Sei anche molto attento alla veste visiva della musica, come mai?
«Volevo studiare architettura e mi interesso di grafica. Ho trovato un team di ragazzi che sono usciti dallo Ied da poco, gli Shipmate, e mi hanno fatto venir voglia di collaborare con persone della mia età. È bello perché rispecchiamo i tempi, siamo contemporanei, devo cercare di illustrare il cambiamento con colori, foto, grafiche nuove. Per questo non ho messo i testi nel booklet del cd, meglio dare spazio alle grafiche, tanto poi non si leggono, sono piccoli. In compenso sono sulla app digitale del disco.»
Hai scritto anche un pezzo con Luca Carboni. Come vi siete conosciuti?
«In modo strano. Mia cugina ha lo stesso suo cognome e in un hotel dove eravamo a lei è stata consegnata la chiave della stanza di Luca. Così ci siamo fatti una risata e abbiamo fatto amicizia. La collaborazione non è nata subito, gli ho mandato delle idee e ci abbiamo pensato su per un po’. Solo dopo qualche mese poi lui mi ha scritto il testo di Se Io Fossi Te, presentandomelo con la sua solita semplicità e calma. È un artista con tanti anni di carriera, ma con me è stato come uno studente appena uscito dal conservatorio.»
Stai pensando al tour?
«Dopo anni, torno nei palazzetti. E ho paura! Per questo ho detto che non ne voglio fare tanti, sono contento dei biglietti che vendono, ma non vorrei raddoppiare le date come quella di Milano. Non ho ancora definito la scaletta ma ci ho messo un mese per scrivere tutti gli arrangiamenti dei pezzi. È una rivoluzione di repertorio perché il nuovo progetto deve essere accostato alle tonalità vecchie e devo pensarci. Ma la rappresentazione e il concetto dello show ce l’ho già in mente, da prima che mi venissero fatte offerte per le date. Non riesco a scrivere una canzone senza pensare al live.»