In scena, al Teatro Nuovo di Napoli, Peggy Pickit Guarda Il Volto Di Dio di Roland Schimmelpfennig, nella versione di Suzanne Kubersky e Marcello Cotugno che ne cura anche la colonna sonora, le luci e la regia; con Valentina Acca, Valentina Curatoli, Aldo Ottobrino, Emanuele Valenti; una produzione Teatri Associati di Napoli con il sostegno del Goethe Institute Napoli (repliche fino a domenica 10 aprile).
Dopo aver a lungo scandagliato la drammaturgia anglosassone contemporanea, il poliedrico regista napoletano Marcello Cotugno volge la sua attenzione alla nuova drammaturgia tedesca con una trilogia di testi di cui Peggy Pickit di Schimmelpfennig (tra i più rappresentati autori tedeschi degli ultimi decenni) costituisce la prima parte. Si tratta di una satira feroce che mette in luce la complessità e l’intrinseca contraddittorietà dello sguardo occidentale sul continente africano. Karen e Martin tornano a casa dopo aver trascorso sei anni lavorando nello staff di un’organizzazione come Medici Senza Frontiere in un paese africano non ben definito. Al loro ritorno, vengono invitati a cena dai loro vecchi amici Liz e Frank. Le due coppie si erano incontrate alla facoltà di medicina ma da lì in poi le loro vite avevano preso percorsi estremamente differenti. Mentre Karen e Martin hanno scelto di prestare assistenza medica in luoghi di estrema povertà, Liz e Frank hanno invece esercitato la loro professione inseguendo la carriera ed il guadagno. A legarli in questa lunga distanza, la presenza di una bambina, Annie, che Liz e Frank hanno adottato a distanza, e di cui Martin e Karen si sono presi cura durante la loro permanenza in Africa. Protagoniste inerti dell’azione diventano inaspettatamente due bambole: la prima, Peggy Pickit, è un costoso giocattolo di fabbricazione occidentale destinato da Liz e Frank ad Annie, l’altra è una semplice bambola artigianale di legno, portata in dono dall’Africa da Karen e Martin per Katie, la figlia biologica dei loro amici. Le due bambole diventano, così, il simbolo dell’enorme divario tra il capitalismo avanzato del mondo occidentale e la povertà dei paesi in via di sviluppo.
«L’idea di affrontare una trilogia di testi di drammaturgia di lingua tedesca – spiega Cotugno – nasce dalla necessità di esplorare la lingua di Bertold Brecht, autore che porta in seno le radici profonde della post-drammaticità. Se infatti pensiamo che Brecht abbia sviluppato una personale contaminazione tra teatro, etica, politica attraverso un’epicità, possiamo immediatamente comprendere come queste caratteristiche siano oggi di grande ispirazione per molto teatro di ricerca. La scelta di cominciare con Roland Schimmelpfennig parte da una mia esigenza di iniziare questo percorso da una scrittura più vicina a quella anglosassone: un’attenzione molto presente al plot, una linearità temporale, un’analisi di personaggi complessi e profondi, sebbene la matrice brechtiana finisca per renderli post-umani».
In effetti, il testo appare un mélange tra Albee e Brecht. Ma qui si va ben oltre il solito cliché delle due coppie di amici che si rincontrano e, in preda ai fumi dell’alcool, si urlano in faccia scomode verità. D’altra parte, anche lo straniamento brechtiano viene portato alle estreme conseguenze, con personaggi che – rompendo continuamente la quarta parete – si portano in proscenio esponendo al pubblico le proprie emozioni ed i propri pensieri intimi, mentre gli altri restano momentaneamente “freezati”. Un duro lavoro per i quattro bravissimi interpreti, costantemente costretti ad entrare e uscire dalla situazione. La regia di Cotugno è molto accurata, con frequenti rimandi alle ultime tendenze della musica elettronica (da Miss Kittin a Frank Bretschneider) per gli effetti sonori e ad atmosfere a metà tra espressionsimo e naturalismo, mutuata e rielaborata dalla cinematografia anni ’20/30 di registi come Pabst, Wiene e Dreyer, per quanto riguarda il disegno luci e le scene (queste ultime firmate da Sara Palmieri). Sullo stesso schema sono stati disegnati i costumi di Ilaria Barbato, che ben evidenziano il carattere e le aspirazioni dei protagonisti. Spettacolo ben curato, duro, con molti momenti di amara ironia.