Lukas Graham è un compositore e cantante giovanissimo (classe 1988) e sta conquistando tutti col il singolo “7 Years”. Con la sua band, che porta il suo nome, si appresta a pubblicare il primo album il primo aprile ma è già una star da numero uno. Dalla Danimarca la band sta conquistando il mondo con uno stile semplice, minimale, cantautoriale, diremmo in Italia. Ecco cosa ci ha detto nell’incontro a Milano subito dopo la partecipazione al programma Che Tempo Che Fa.
Raccontaci della comunità di Christiana, dove sei vissuto coi tuoi genitori.
«È una comunità nel centro di Copenaghen dove non ci sono macchine, semafori o polizia. Un bagno privato o l’acqua corrente erano considerati lussi nei primi anni ’90. La gente è felice e si danno una mano gli uni con gli altri. Questo senso di comunità l’ho trasmessa anche ai miei amici che vivono questo successo con me nel gruppo ed è molto forte. Sono contento di non dover essere io in prima persona a sostenere la responsabilità della fama.»
È successo tutto velocemente grazie a un pezzo molto personale. Cosa vuoi cantare nella tua musica?
«Canto di quello che conosco e credo che il prossimo disco rifletterà le circostanze che stiamo vivendo. C’è una canzone nell’album, Better Than Yourself che parla di una disavventura a un personaggio che conosco di persona, per esempio.»
Cosa ti porti dietro dell’esperienza in una comunità hippie?
«Noi eravamo sempre i bambini più sporchi degli altri, perché il nostro campo giochi fuori casa era enorme. Non eravamo poveri, ma forse più sensibili. Invece di scrivere una piccola storia d’amore carina su una ragazza che mi piace, finisco per cantare dei miei amici in prigione e di come mi sento. Mi è più facile raccontare onestamente chi sono, piuttosto che inventare delle storielle.»
Cosa ascoltavi da piccolo?
«In casa avevamo tutto, non eravamo fuori dal mondo. Dai Beatles ai Rolling Stones, a Gregory Isaacs, James Brown, Al Green e anche i Prodigy. Ho militato nel Copenhagen Boys’ Choir con il quale ho sviluppato un gusto per la musica classica, forse anche per questo in un pezzo c’è un richiamo a una sinfonia di Beethoven. Poi ho iniziato a sentire l’hip hop, 2001 di Dr.Dre mi ha cambiato la vita. Il nostro è un mix di stili musicali semplici ma suonati con forza e sincerità, mentre raccontiamo le nostre piccole storie.»
Come compongono i Lukas Graham?
«Scrivo tutto io e poi lo porto ai ragazzi che provano il pezzo per qualche tempo. Poi torniamo in studio e registriamo tutto. Voglio che siano sempre brani credibili e che ci rappresentino, anche se il nome della band è mio perché racconto le mie storie, ovviamente. Molti artisti vogliono ricchezza e fama. Io voglio raccontare storie che si possano contestualizzare con le vite di tutti.»
Cosa vi colpisce di più della fama?
«Parlare con i giornalisti e immaginare che quello che diciamo venga riportato nei giornali in giro per il mondo. Anche cambiare vita e fare tutto di corsa, come sta succedendo in queste settimane, è affascinante. Mi fa sorridere il fatto che siccome siamo numero uno in Inghilterra ora ci diano gli hotel a cinque stelle. Non sono queste le cose che contano, sicuramente non sono nostre pretese, ma così va il mondo.»