Si terrà venerdì 20 maggio 2016 presso l’Archeobar, Caffè Letterario di via Mezzocannone (Napoli) , il concerto di Lorenzo Campese, che omaggerà David Bowie, l’artista inglese scomparso lo scorso gennaio, icona indiscussa della cultura musicale occidentale. Il giovane musicista partenopeo, si esibirà esclusivamente con la “collaborazione” della sua tastiera, ripercorrendo alcuni pezzi della nutrita carriera del Duca Bianco, accarezzando le note di Life on Mars, fino a sublimarci con Blackstar. Ospiti della serata il cantautore Nino Bruno insieme al cantante-attore, Marco Francini. Ad anticipare l’occasione, un interscambio vivace con Lorenzo Campese.
Da Life on Mars a Blackstar, che apre le porte al testamento visionario e inquietante del cantautore. Che effetto fa interpretare il Duca Bianco?
«Mi tremeranno le gambe, per non usare metafore più volgari. Senza retorica, misurarsi con mostri sacri del genere può essere certamente un rischio, di cui sono cosciente, ma allo stesso tempo rappresenta pure una piccola spia per capire a che punto è arrivata la capacità di narrare e interpretare, di personalizzare o di disegnare storie inventate da altri.»
Lorenzo, ti esibirai portando in scena il tuo modo inconsueto di cantare, ovvero, aiutato dal solo accompagnamento della tastiera. Come nasce questo insolito comportamento musicale?
«Innanzitutto perché non ho mai imparato a suonare degnamente la chitarra. In realtà non mi è mai capitato di fare un concerto intero da solo, ho sempre avuto una band di supporto, oppure, ho fatto io da supporto ad altri cantanti. Sarà una sfida e una novità anche questa. Nel caso della serata di venerdì sarà pure un modo per rendere più personale l’omaggio a David, evitando di imitarne goffamente arrangiamenti, atteggiamenti e movenze, concentrando invece l’attenzione sulla grandissima ricchezza e varietà del suo repertorio, sulla sua cultura (era attore, mimo, pittore oltre che raffinato interprete e autore), la sua musica era sempre influenzata da tutto questo, così come la sua voglia di sperimentare, di mettersi continuamente in discussione e non fermarsi mai. Dovrebbe essere un esempio per tutti, in qualsiasi campo e in ogni epoca.»
Ritornando all’omaggio a David Bowie tu personalmente, quanto eri legato all’eclettico musicista inglese?
«Direi in maniera quasi ossessiva e questa fascinazione mi è cresciuta dentro lentamente, nel tempo. A 17 anni decisi di non andare a un suo concerto a Milano perché tanto, pensai “me lo vado a vedere quando viene più vicino casa”. Da allora non ha fatto più tour per motivi di salute, e ci sono rimasto così male da aver sviluppato una sorta di fissazione e di simbiosi col personaggio. Per dire, quando sono andato al locale per concordare la serata, Andrea (il gestore) mi ha detto: “Ah bello! Sai, io non sono un grande fan di “Baui”, cioè riconosco la grandezza dell’artista ma non ho mai approfondito”. Io gli rispondo “beh, a giudicare dalla pronuncia si vede”. Mi avrà sicuramente preso per un pazzo fanatico, cosa che in effetti sono, ma alla fine per fortuna ho ottenuto ciò che volevo. Ovviamente ringrazio anche Enzo Colursi e la Pataturco Events che hanno reso possibile questa bellissima rassegna di concerti.»
Ci sono progetti in vista per un futuro prossimo?
«Più di uno. A giugno presenterò dal vivo il primo EP del mio gruppo, Isole Minori Settime, e contemporaneamente sto lavorando alle produzioni di due giovani promesse, seppur diversissime tra loro, Greta Zuccoli e Antonio D’Angiò, dei quali sentirete sicuramente parlare tra qualche anno.»