Lo scorso 12 novembre è andato in scena al Teatro Mercadante di Napoli, lo spettacolo “L’onore perduto di Katharina Blum”, tratto dall’omonimo romanzo di Heinrich Böll. La messinscena è stata prodotta da Teatro Stabile di Napoli, Teatro Stabile del Friuli Venezia Giulia e Teatro Stabile di Catania e la regia è firmata da Franco Però con l’adattamento di Letizia Russo. La pièce vede in scena Elena Radonicich, Peppino Mazzotta, Emanuele Fortunati, Ester Galazzi, Riccardo Maranza, Francesco Migliaccio, Jacopo Marra e Maria Grazia Plos; gli attori si muovono in una scenografia, firmata da Domenico Franchi, di porte trasparenti che si aprono e si chiudono creando piccoli ambienti che, con pochi oggetti, ricreano la casa della protagonista, la sala interrogatori e il salotto di Else. I personaggi vengono inghiottiti o illuminati da fiotti di luce bianca che Pasquale Mari ha realizzato come fosse una sequenza cinematografica, mentre i costumi anni Settanta sono a cura di Andrea Viotti.
Katharina Blum (Elena Randonicich) è una ragazza di ventisette anni, divorziata e bella che ha incanalato la sua vita nel lavoro. È al servizio dei coniugi Blorna, Hubert (Peppino Mazzotta) e Trude (Ester Galazzi), ed è considerata una “suora”. A un ballo di carnevale, a casa della sua madrina Else Woltersheim (Maria Grazia Plos) ha un colpo di fulmine e si innamora di Ludwig Götten, reo di alcuni piccoli crimini, ma sospettato di essere un terrorista. I due passano la notte insieme e non del tutto consapevole della situazione, Katharina lo aiuta a fuggire. Da questo momento in poi la sua vita precipita: interrogata brutalmente dalla polizia, mortificata, messa alla gogna da parole vomitate all’opinione pubblica sapientemente manipolate.
Ogni dichiarazione di chi la conosce più o meno bene viene corrotta e trasformata in qualcosa di completamente opposto. Katharina diventa una donna dal passato oscuro, fredda, calcolatrice, complice dei terroristi, che ha abbandonato la vita modesta con il marito per godere dei lussi pagati con il crimine.
La credibilità del giornale non è intaccata, ma la vita di Katharina viene messa al microscopio e data in pasto alla pubblica opinione; riceve minacce e offese e l’unico modo per uscirne è tagliare la testa al toro: uccidere il giornalista, perché non rovini più la sua reputazione, e costituirsi.
L’ingranaggio narrativo è incalzante, e pur palesando l’assurdità della situazione l’angoscia sale e l’attrice è riuscita a farci credere di star provando davvero ogni cosa che provava il suo personaggio. Peppino Mazzotta ha usato il suo corpo nervoso in maniera espressiva, comunicando l’ansia, la tensione el’incredulità: anche lui è innamorato di Katharina, ma rimane un inappuntabile datore di lavoro che interrompe dopo quaranta ore le sue ferie per accorrere, assieme alla moglie, in aiuto della donna. Anche Francesco Migliaccio, nei panni del commissario Erwin Beizmenne, ha dato prova di grande bravura grazie ad una sorta di rabbia repressa che sembra aver incanalato negli interrogatori, mentre è diretto e senza fronzoli l’ Alois di Emanuele Fortunati, il ricco e giovane padre di famiglia che si invaghisce di Katharina ma che non vuole che il suo nome compaia nelle cronache.
Infine, citando Böll «… chi serve pubblicamente delle parole mette in movimento mondi interi e nel piccolo spazio compreso tra due righe si può ammassare talmente tanta dinamite da far saltare in aria questi mondi » sembra essere proprio questa la morale che lo spettacolo intende lasciare nella memoria del pubblico.