Sono le 19.30 quando nella Villa Cappelli di Pollena Trocchia Mirko Signorile, i Vertere String Quartet e Marco Messina iniziano a svelarci il loro “Locus Mood”. Il sole non è ancora tramontato.
Archi e pianoforte si fondono grazie all’elettronica ed ecco che ogni singolo spettatore… si confonde.
Tutto inizia dalle corde, dal cuore del pianoforte. Signorile accarezza il piano dall’interno, accarezza le corde con le mani senza l’utilizzo dei martelletti, non ancora. Il pianista pugliese sfiora le corde e Marco Messina gioca con i suoni di queste ultime grazie all’elettronica.
Lentamente si inserisce poi il quartetto d’archi: i violini di Giuseppe Amatulli e Rita Paglionico, la viola di Domenico Mastro e il violoncello di Giovanna Buccarella. Corde quasi silenziose, intense voci di donna.
Ed ecco che non si è più sulla terrazza di Villa Cappelli, anche se il sole continua a illuminare da un lato il golfo di Napoli, dall’altro il Monte Somma.
Le note di Locus Mood rievocano l’ermo colle leopardiano con i suoi “interminati spazi e sovraumani silenzi”. Naufragare in questo mare di note non potrebbe essere più dolce.
Nessuno dei cinque artisti è più sul palco, Mirko Signorile dal pianoforte può vedere il Golfo alla sua sinistra, Marco Messina e i Verter Quartet vedono quello stesso Golfo dai suoi occhi.
La maggior parte del pubblico, invece, ha gli occhi chiusi, ma i raggi del sole non sono più forti come prima.
Locus Mood “costringe” i presenti a guardarsi dentro.
Il mondo esterno non esiste più: restano le note e una quantità di cose che risulta impossibile spiegare.
Signorile e Messina si esplorano, il quartetto di archi sembra essere ponte di unione tra loro. La contaminazione tra jazz ed elettronica, veicolata anche dalla musica classica, ha un potere senza eguali.
Negli attimi in cui si torna sul palco e in platea, si ritorna solo per ricordarsi il luogo in cui eravamo un attimo prima e solo per riaccordarsi su dove andare un attimo dopo.
Zone d’ombra, rallentamenti, note ripetute, giri sempre uguali eppure così diversi: un filo rosso tra ciò che vediamo e ciò che immaginiamo che però sembra più concreto della stessa realtà.
Locus Mood è un non luogo in cui capitare per caso, un non luogo che parla col suo tappeto di note, ci culla anche quando il concerto è ormai finito.
Gli artisti salutano il pubblico con un ultimo brano, quest’ultimo continua a dialogare con la parte nascosta che Locus Mood gli ha tirato fuori. La parte nascosta che ci rende completi.
Dall’alto la luna si gode la scena: in realtà siamo solo all’inizio di un nuovo tramonto.
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