il dramma è memoria
«Mi chiamo Tommaso e sono un pagliaccio. Sono qui per raccontarvi la mia verità. Per farlo ho bisogno di finzione, io vi darò verità sotto il piacevole travestimento dell’illusione. C’è molto trucco e c’è molto inganno. Il dramma è memoria, è sentimentale non realistico». Queste le parole con cui Tom Wingfield ci presenta “Lo zoo di vetro” del talentuoso Leonardo Lidi.
Cattura e affascina gli spettatori fin da subito l’ambiente in cui il regista ha deciso di far muovere i suoi attori: troviamo una casa rosa e stilizzata attorniata da un mare di polistirolo azzurro. Un’estetica che sintetizza l’innocenza e l’orrore, un immaginario bambinesco che sotto la sua profonda superficie nasconde traumi non solo infantili. Tutto ciò che il pubblico vede è una rappresentazione di un costrutto mentale di Tom: questa la vera potenza di Lidi e dei suoi attori che sfruttano la forza dell’immaginario collettivo per arrivare al cuore della casa, al cuore delle cose, al cuore dei segreti.
Elemento disturbante essenziale, che evoca negli spettatori una miriade di sensazioni simultanee, resta la scelta della maschera clownesca. Da un lato i personaggi sono così nitidi, nudi dietro le loro maschere. Dall’altro i costumi e le scarpe tipiche dei clown costringono a movimenti innaturali e goffi. Spicca la figura da cui tutto parte e a cui tutto ritorna, ovvero quella della madre Amanda, donna logorroica, frustrata, abbandonata dal marito e che ci viene presentata come in perenne gravidanza. Oppressa da questa figura ecco la figlia Laura, sorella di Tom, zoppa e reclusa in una solitudine abitata dall’unico ricordo lasciatole dal padre: una collezione di animali di vetro. Animali che, come quasi tutto il resto, vengono solo evocati. Tanti gli oggetti mancanti mimati: la tovaglia stesa, i piatti, il candelabro… e soprattutto gli animaletti di Laura che così rendono ancora più evidente il loro essere un potente rifugio nell’illusione.
Personaggio ponte tra pubblico e casa Wingfield è Jim ‘O Connor: corpo libero sulla scena che non aderisce alla finzione a cui si assiste ma la aggredisce.
Quattro grandi prove attoriali grazie a Tindaro Granata, Mariangela Granelli, Anahì Traversi e Lorenzo Bartoli.
Degne di nota la scelta della canzone iniziale cantata dalla sorella “Quella carezza della sera” dei New Trolls che risuona silente per tutto il tempo dello spettacolo e, soprattutto, la proiezione sulla parete dello schermo della casa rosa de “La casa stregata” di Topolino. Quest’ultima simbolo dell’ossessione di Tom per il cinema come luogo d’evasione però pur sempre temporanea. Dai suoi fantasmi, dai suoi ricordi… Tom non riuscirà a scappare mai.
C’è una cosa che va esaltata dell’adattamento e regia di Leonardo Lidi: il regista è un demiurgo nascosto. Spesso si attribuisce allo spettatore medio un’inferiorità cognitiva e intellettuale più grave di quella che è sul serio. Lidi ha capito che il pubblico sicuramente strumenti di natura emotiva ed emozionale. Il pubblico sa cogliere i sentimenti. Se uno spettacolo tocca i sentimenti, li esalta e li fa incendiare.
Manca a volte alla percezione degli autori e registi contemporanei questo atto di coraggio in più, coraggio che fortunatamente qui non è mancato. Lidi ha ricordato al pubblico che il teatro si crea per intima necessità dell’animo umano e per questo dobbiamo ringraziarlo.
Lo spettacolo sarà in scena al Teatro Ariosto di Reggio Emilia ancora oggi, 6 marzo 2022, alle ore 15.30.