Da pochi giorni è uscito Insight il nuovo album di Lino Cannavacciuolo. Il disco contiene nove intensi brani minimal eseguiti dal suo inseparabile, contagioso e ipnotico violino, che si snoda come rampicante intorno alle immagini poetiche dei brani che creano un’atmosfera da cinema o immagini di un pas de deux di formidabili danzatori. Tutto è racchiuso da eccezionali musicisti che accompagnano il maestro Cannavacciuolo in questo album, Gilda Buttà al pianoforte, Federica Vignoni al Violino I, Massimiliano Canneto al Violino II, Riccardo Savinelli alla Viola, Giuseppe Scaglione al Cello e Salvio Vassallo per la musica elettronica. Nel pantheon della musica, Lino Cannavacciuolo, è certamente fra l’Olimpo dei grandi artisti, ne è la conferma Insight, in cui il maestro mette a nudo le proprie emozioni con le sue melodie sussurrate, con i suoi molteplici e differenti colpi d’archi, ora picchettati ora saltellati.
Cosa significa per lei Insight e perché la scelta dei titoli dei brani in inglese?
«Insight è quello che covava dentro di me e che ho voluto esternare attraverso nove brani. Partendo dal presupposto che non conosco una parola in inglese, potrei essere contraddittorio, però ho riflettuto su questo fattore, ho inciso un disco per un mio bisogno e non con la speranza di venderlo, perché sappiamo che oggi le vendite di un disco sono quasi nulle. Ho intitolato i brani in inglese perché ho pensato che questo disco viaggerà principalmente in rete e per dare la possibilità a chi non conosce l’italiano, di capirci qualcosa e, quindi, proiettarlo anche per un mercato estero».
Dal primo ascolto si può desumere che, ogni brano vada bene anche per una colonna sonora. È anche questa la sua intenzione?
«C’è questo elemento nell’album, anche perché negli ultimi dieci anni lavoro principalmente per le colonne sonore e, questo mondo, inevitabilmente, esiste in Insight e mi fa anche piacere che si avverte tutto ciò».
C’è qualche messaggio o emozione particolare che vuole trasmettere al pubblico attraverso questo disco?
«La mia esigenza era quella di fare un disco che si distaccasse dai precedenti per l’organico che contiene, violino, quartetto d’archi, pianoforte ed elettronica, quindi, avendo questo organico ho voluto un tipo di suono ben preciso e, ovviamente anche di scrittura. Rimane sempre la mia identità mia e credo che ci sia sempre, ed è quello di non fare necessariamente dei virtuosismi o avere tanti strumenti o altro a disposizione per arrivare a un risultato. La mia intenzione era di avere un organico piccolo e con esso esprimere quello che avevo in mente».
Quanto tempo ha impiegato per realizzare questo album?
«Come dicevo, negli ultimi anni, sono stato impegnato con la realizzazione di alcune colonne sonore, ma strada facendo coltivavo questo progetto e mettevo da parte pian piano ed è cresciuto veramente in diversi anni, questo Insight, poi, negli ultimi due anni circa, mi sono dedicato più approfonditamente».
Maestro, lei ha collaborato con centinaia di artisti. C’è qualcuno in particolare con il quale vorrebbe ritornare a collaborare e per quale motivo?
«Non saprei. Il nostro lavoro è bello perché è imprevedibile. Se dovesse capitare un incontro interessante e che mi stimola, perché no? Guardo molto avanti, sono uno che pensa e immagina molto, quindi, che ben venga insomma».
La sala d’incisione e il live sono due momenti differenti ma importanti nella vita di un artista. Quale delle due situazioni le dà più soddisfazione o più fatica?
«Sono due situazioni completamente diverse, ma tutte e due creative. Anche emozionalmente sono diverse. Sul palco c’è una condizione di entusiasmo che devi vivere intensamente ed è tutto più di getto, avendo il pubblico davanti e devi anche cercare di coinvolgerti in un modo diverso, rispetto a quando sei in uno studio di registrazione, che è un momento molto creativo in cui hai la possibilità di razionalizzare il tuo lavoro».
Si può descrivere a parole le emozioni o quello che trasmette ogni singolo pezzo?
«Ogni singolo brano per me è inteso a un umore ben preciso che ognuno di noi ha dentro, il mio presentimento rispetto a ciò che potrebbe essere qualsiasi cosa. Tutti i pezzi hanno un umore interiore, “Beat” è il battito che si ha dentro. “My Storm” è la tempesta che uno ha dentro, è tutto visto da me in questo modo, cioè gli umori umani».
Come ha iniziato e com’è nata la sua passione per il violino o ha cominciato con un altro strumento?
«Ho cominciato a suonare da ragazzino, a nove anni, con mio padre nella banda uno strumento a percussione, il tamburo. Successivamente si capiva che avevo interesse per la musica e mi è stato suggerito di suonare il violino, quindi non è stata una mia scelta e manco conoscevo il violino e mi sono ritrovato questo strumento e da lì è iniziato tutto e mi sono appassionato».
Il disco è dedicato a una persona in particolare e anche alle donne vittime di violenza. Può parlarmi di questa dedica particolare?
«Questo disco è dedicato al femminicidio, alla violenza sulle donne e non sta a me dirlo, ma si sente incessantemente la voglia di combattere questo problema che ritengo assurdo. Proprio nel periodo in cui stavo lavorando al disco, tra i tanti episodi, è successo in particolare quello di Carla Ilenia Caiazzo, che è di Pozzuoli come me, infatti, conosco questa ragazza e conosco bene la sorella e mi è venuto spontaneo dedicare il disco a Carla Ilenia e dare un messaggio e sostegno alle donne vittime di violenza».
Seguirà un tour? Sta progettando qualcosa di particolare che succederà sul palco?
«Ci sarà qualche concerto, non una tournèe ricca. Preferirei fare pochi concerti, ma fatti bene, in luoghi che potrebbero essere interessanti. Lo spettacolo sarà concentrato sulla musica, non amo necessariamente scenografie o parti recitate, tranne che non è un progetto teatrale particolare dove nasce già con questa intenzione e con una direzione specifica, in questo caso, andrò ad eseguire, comunque, il concerto di Insight e sicuramente ci saranno anche dei brani del passato riarrangiati e adattati alla formazione che avrò in scena».