La serata conclusiva della XVIII° edizione Premio Massimo Troisi ha visto alternarsi sul palco diversi artisti, tra questi il bravissimo e simpaticissimo Lino Banfi.
All’attore è stato consegnato il Minollo d’oro” (opera realizzata da Lello Esposito) come speciale riconoscimento che lo lega a Massimo Troisi. Banfi e Troisi facevano parte della Nazionale calcio degli attori. «Massimo – racconta l’attore pugliese – faceva parte della squadra degli attori quando io facevo il presidente, ovvero facevo da ‘jolly’ entrando di tanto in tanto in campo con una maglietta con la scritta 113 dietro 1500, cose che facevano ridere le persone. Una cosa che ricordo sempre è che, di tanto in tanto, tutti quelli che giocavano nella squadra venivano da me e mi chiedevano di entrare in campo per far riposare Massimo. Allora io mi inventavo una gag e si fermavano cinque minuti, poi arrivava un altro e mi chiedeva la stessa cosa. Massimo avendo saputo la cosa, venne da me e disse: “Linù non dare retta a questi, sono loro che si vogliono riposare”. Ho dei bei ricordi di lui, peccato che non abbiamo mai lavorato insieme».
Banfi nel corso della serata ha dichiarato il suo amore per la città di Napoli, raccontando un aneddoto successo in passato. «Un Natale, credo fosse quello del 1950, avevo 18 anni, e mi trovavo a Napoli. Avevo lavorato cinque sei giorni al teatro Margherita, al Duemila, al tempo facevamo l’avanspettacolo. In quei giorni non c’era molto lavoro, quindi avevo pochi soldi o niente. C’erano diverse pensioni che affittavano le camere agli artisti, sapendo però che eravamo gente che non aveva a disposizione molti soldi, dicevano che bisognava pagare prima, altrimenti non si poteva dormire. La sera del 24 ero solo e senza una lira e faceva freddo. Incontrai una persona che mi disse: “Ti aiuto io!”. Dandomi un cappello degli studenti di medicina. Gli chiesi a cosa mi servisse quel cappello, e lui rispose di mettermi vicino alla galleria e di presentarmi come universitario. Ero magro, ero pure caruccio fisicamente, quindi ero credibile. Alla fine ci provai, ma non funzionava tantissimo, quindi decisi di mollare. Fu in quel momento che si fermò un signore grosso che si trascinava con delle borse in mano. Mi chiese cosa stessi facendo ed io gli raccontai tutta la verità, ovvero che ero un attore disoccupato ed avevo i soldi per dormire ma non per mangiare. Questo prima se ne stava andando, poi tornò indietro e mi invito a casa sua dicendo “vieni con me vieni a casa mia, dove mangiano in dieci mangiano pure in undici”.
Quest’uomo aveva una casa piena di figli. Un basso napoletano nei pressi della galleria prima di arrivare a via Santa Brigida. Una famiglia numerosa che mi accolse, mi diede da mangiare, da bere, fino ad ubriacarmi e mi diede un letto per dormire. La mattina dopo, quest’uomo di nome Ciro mi diede dei soldi per prendere il treno e tornare a Canosa di Puglia. A distanza di trenta, trentacinque anni, tornai a Napoli in cerca di Ciro, ma trovai un elettrauto al posto della sua casa. Chiesi in giro, se qualcuno lo conoscesse, ma nessuno sapeva nulla. Qualche tempo dopo, stavo a pranzo a Roma con un mio amico Cardinale, al quale raccontai questa storia. Dopo avermi ascoltato disse: “Lino caro, non lo potrai mai trovare questo Ciro a Napoli, perché non esiste. Ciro era un angelo che ti ha salvato”. Non so se sia vero o meno, quello che conta ed è importante è che un napoletano mi salvò il Natale di quell’anno».