Lo dice il nuovo produttore Luciano Luisi nelle note del disco: volevamo un disco classico ma in un contesto moderno. E se il contesto deve essere attuale, che lo siano anche i testi. Ecco che pure Ligabue approda al suo disco di riflessione e con Mondovisione (14 brani in uscita il 26 novembre) si abbandona a critiche non più criptiche verso potenti, cose che non vanno, vita in generale. Un atteggiamento molto rock and roll anche se lui ha qualcosa da sottolineare: «Sono 23 anni che mi ostino ad andare controcorrente e a ripetere che il rock non è solo distruzione. Io lo faccio così, perché per me significa nona vere pudore nei sentimenti. Se per voi rock è mettere dentro chitarre metal dall’inizio alla fine, allora non faccio rock».
Al di là delle questioni di terminologia, qui ritroviamo il Liga che piace a milioni di italiani (specie nel pezzo Con La Scusa del Rock’n’Roll) ma anche un riposizionamento musicale che prevede centralità di testi e voce (come nel finale suggestivo di La Neve Se Ne Frega), riferimenti alla sua terra d’origine (La Terra Trema, Amore Mio con un incedere di piano che fa davvero effetto in disco rock) e anche un omaggio a Ennio Morricone nell’interludio Il Suono, Il Brutto e Il Cattivo.
Quindi conferme che si aspettano tutti, ma anche novità per i testi molto più orientati all’attualità, come faceva prevedere la matura Il Sale Della Terra e meno rock a tutti i costi. «Siamo andati per tentativi con il produttore – dice Ligabue presentando il disco in un clima di attesa silenziosa davanti a decine di media italiani – anche se è poi sempre lui che anche in precedenza creava le sequenze per la band. Avevo bisogno di un disco in cui fossi molto partecipe che riflettesse il suono del mio gruppo com’è ora. Nessuno mi dice cosa esprimermi però nei testi, il censore di me stesso sono io. Se vado troppo in là a volte mi fermo perché non so se si viene interpretati bene». E qui arriva il primo nodo del lavoro, i messaggi. «Ci ho lavorato per più di un anno, abbiamo iniziato a Capo Spartivento, che poteva essere il titolo dell’album ma poi è diventato uno strumentale. E mi sono concentrato su quello che volevo dire, non è stato semplice, è il disco con la più lunga gestazione della mia carriera. Con la tecnologia che poi c’è oggi l’importante è non strafare, meglio controllarsi».
I testi vanno dalle invettive contro i processi show (Il Muro del Suono), a vicende che hanno colpito il cantante in prima persona negli ultimi tempi come il terremoto in Emilia e una riflessione su come si percepisce la realtà in maniera personale in Sono Sempre I Sogni A Dare Forma Al Mondo. «Se non si sa cosa succede nell’altra stanza – spiega il cantante – come possiamo pretendere di sapere cosa succede nel mondo…per questo secondo me la realtà è come ciascuno di noi la vive ed è fatta di tante percezioni, che sono sogni, immaginazioni». Ma lui in prima persona come la vive questa realtà? «A volte mi hanno accusato di essere sfacciato procuratore di speranze ma questa volta ho voluto criticare chi ha potere e ne abusa, la paura di perderlo, volevo dare voce allo sfinimento che l’attualità provoca in ognuno di noi. Basta poco per capire quanto stiamo vivendo a una velocità che non ci appartiene. Le prime pagine dei giornali online devono aggiornarsi ogni mezz’ora, e quindi ogni notizia non ha il tempo di essere assimilata. Io vorrei si tornasse a ragionare su quello che accade».
E così, anche se nel disco non ci sono prese di posizioni più dirette di quelle che canta ne Il Sale Della Terra, si toglie qualche soddisfazione (“chi doveva pagare non ha mai pagato per la carestia” dice in un verso riferendosi alla crisi economica) e parla di sé in modo diverso che in passato. Come quando, rivivendo le emozioni del terremoto, descrive il ritrovare quello che di più caro le persone in fuga afferrano, cioè gli affetti. E lancia anche suggerimenti da carpe diem in Nati Per Vivere (Adesso e Qui): «Il rock è urgenza, non mi metterei mai a scrivere cose che non siano vicine a me. La tradizione italiana è ovviamente derivativa, perché se non sei inglese o americano non avrai mai quella carica, ma se fare rock significa non avere pudore dei sentimenti io sono rock. Anche se non metto le chitarre metal dall’inizio alla fine».
Certo, l’influenza del mondo che viviamo si sente pesantemente nel mood del disco, molte ballad, anche mid-tempo, con un progetto grafico che sebbene riprende il lettering di Carosello, di spensierato ha ben poco, con quel mondo accartocciato in primo piano in copertina. «Un’idea del grafico che mi è subito piaciuta – spiega lui – anche se bisogna stare attenti alla cronaca. Fare tutto un lavoro di attualità fa invecchiare molto le canzoni, quindi mi piace anche parlare di sentimenti, separazioni, vissutomi piace anche parlare di sentimenti, separazioni, vissuto»
L’autodeterminazione della vita di cui parla in Nati Per Vivere gli fa anche fare una riflessione sul destino («propendo per il progetto divino») ma a quanto pare l’analisi lirica di Ligabue parte da lontano. E se n’è reso conto ultimamente quando al festival di Mantova ha incontrato un autore, Giuseppe Antonelli, che gli ha proposto un focus da racchiudere in un libro (che ora è alla sesta ristampa) sulla sua scrittura: «Agli esordi, in A Che Ora è la Fine del Mondo facevo ironia sulle sventure della vita. Ora se ne parlo è in tono molto indignato. Ma è un’evoluzione naturale, del resto io ho smesso di scrivere scimmiottando Venditti e De Gregori ben prima di arrivare al successo. Ho capito che bisogna scrivere di cose che contano, degli effetti che la musica ha su me e anche il modo di percepire la musica è cambiato negli ultimi 20 anni. Sono solo contento di non aver messo troppa rabbia nelle mie canzoni, perché a volte quella si trasferisce in chi le ascolta. Ma in definitiva quale musicista che sale su un palco non si definirebbe irrequieto?».
Attivissimo con uno staff dedicato a tutto il mondo dei social network, Ligabue ha anche affermato di essere “preso” da Spotify in questo momento: «Ho abbandonato tutte le idee romantiche e ora è lì che ascolto musica. A dire il vero in questo momento il prog rock italiano anni 70 mi cattura, come la riscoperta del Balletto di Bronzo o Rovescio della Medaglia. Il rap non lo conosco fino in fondo, non è il mio genere ma capisco chi dice che i rapper italiani sono i nuovi cantautori, perché anche loro fanno lo sforzo di raccontare questo paese. E poi la parola nel rap è ancora più valutata. Invece vorrei che anche i cantautori venissero letti con maggiore attenzione alla musica, che era più che degna». Si dice inoltre certo che la varietà ha prodotto una commistione di generi che prima non c’era: «Anche io per la prima volta ho messo in un pezzo, Per Sempre, una batteria quasi r’n’b. Credo che il rock resisterà al tempo, anche se non sta vivendo un momento felice. Solo che sarà più difficile riconoscerlo».
Sulle liriche del suo disco, che sicuramente faranno molto parlare nei prossimi giorni, invece ha un’opinione molto personale: «A volte si tende a sopravvalutare la funzione dei cantanti, enfatizzando ciò che dicono le canzoni. Questo non fa altro che testimoniare quanto vuoti ci sia attorno, dalla politica alla religione».