Libra, come equilibrio; Libra come due rette parallele (elettronica e cantuautorato) che questa volta si incontrano, quasi si scontrano, e insieme proseguono il loro armonico cammino. Giovani dalle idee molto interessanti con un piede proiettato al futuro dei suoni e una precisa attenzione alla cultura musicale ben presente nel linguaggio. Un disco d’esordio estremamente piacevole, elettronico ed intenso, sorprendentemente adatto ad essere colonna sonora di viaggi in treno o lunghi tragitti in auto per la sua capacità di cullare l’ascoltatore in una dimensione intima e quasi onirica. Sotto pelle è il titolo di questo disco che vi assicuro non solo vi entrerà sotto pelle, ma sono certo ci rimarrà anche allungo.
Partiamo dal vostro nome “Libra”, riferimento zodiacale o non centra niente e il motivo è diverso?
«In realtà è molto più semplice. Libra è solo un riferimento all’equilibrio, quello che si è instaurato tra noi quattro, sopratutto nella dimensione live, in cui ognuno con la sua postazione apparentemente lavora come individuo, ma in realtà sta lavorando a qualcosa che si forma solo nell’equilibrio tra le parti. Questo ci ha aiutato a scegliere il nome e ci piaceva l’idea di quattro individualità che riuscissero a creare una condizione di equilibrio e di armonia, sperando di riuscirci sempre nel migliore dei modi.»
”Sotto pelle”, già il titolo parla di intimità, ma ci descrivi a parole che cosa bisogna aspettarsi da questo disco?
«È un disco che può dare varie sensazioni. È qualcosa che cresce da dentro come un riff o un bit. Mantenendosi sempre in una posizione molto minimalista, volevamo far nascere qualcosa dentro l’ascoltatore, magari con l’ascolto in cuffia, che è la dimensione più intima, volevamo smuovere qualcosa di personale ed unico in ognuno magari stimolato da un suono che torna una sola volta ma che rappresenta appunto questa sensazione “sotto pelle”. Questo era il nostro intento con questo disco d’esordio.»
Nella musica elettronica spesso l’attenzione non viene posta molto alla parte dei testi delle canzoni, nel vostro caso invece mi sembra ci sia una fusione molto armonica tra l’elettronica e testi studiati, diciamo una elettronica cantautorale, vi ritrovate in questa definizione?
«Assolutamente sì, nel senso che ci abbiamo creato un progetto che ha sicuramente delle sonorità esterofile che strizzano l’occhio a gruppi come XX o James Blake, ma la nostra dimensione è quella italiana, e la nostra è stata una scelta di scrivere in italiano e non si può non fare i conti da gruppo italiano con quella che è la cultura del nostro paese che nel cantautorato vede la sua espressione più bella, e a cui noi paghiamo tributo. Di sicuro abbiamo cercato di conciliare due modi apparentemente distanti ma che secondo noi devono solo essere reinterpretati, perché il cantautorato è la nostra cultura, ma la musica elettronica può rappresentare una nuova chiave di lettura.»
Qual è il vostro background musicale, avete un passato simile?
«Abbiamo sicuramente vissuto esperienze similari anche nelle loro differenze, ma ci siamo ritrovati con dei punti in comune, come Radiohead, XX, Janes Blake, Apparat, tutte sonorità sulle quali ci siamo trovati subito tutti d’accordo, perché la musica che cerchiamo di proporre è la musica che a noi piace quella che ascoltiamo. Un incontro tra la musica elettronica e la vera e propria musica suonata, questo è lo spirito di questo progetto, esperienze diverse che trovano un punto in comune.»
Se in Italia sempre di più la strada per il successo nella musica sembra obbligatoriamente passare dai talent show, voi come vi rapportate a questo mondo?
«Il talent secondo noi è una formula che non funziona nel momento in cui vuole toccare quello che un artista è, come scrive o come si esprime. Il nostro non è un rifiuto preconcetto, sarebbe uno strumento importantissimo per la visibilità che per chi vuole emergere è importantissima e che in questo momento nel nostro paese è molto limitata se non si vuole rientrare in precisi schemi editoriali. Diciamo che è uno strumento che andrebbe rivisto insieme agli artisti, il problema è il concetto di artista come una cosa da vendere.»
La nostra è l’epoca dei social, voi che rapporto avete con questo mezzo?
«Beh, curiamo direttamente le nostre pagine, è importantissimo avere questo tipo di rapporto diretto con chi ci ascolta, è proprio come avere un feedback di quello che fai, un confronto senza alcun tipo di filtro. E poi ci danno la possibilità di confrontarci o anche di far tesoro delle critiche. Una volta un ragazzo ci ha scritto che aveva inserito il nostro pezzo” la calma “nel suo lettore e che il pezzo lo aveva accompagnato nel suo viaggio in Islanda. È bellissimo pensare di far parte noi della colonna sonora di un viaggio altrui.»