Dall’8 al 10 aprile debutta sul palco del Nuovo Teatro Sanità l’ultima produzione del collettivo di Piazzetta San Vincenzo, che presenta al pubblico Leopardi amava Ranieri, spettacolo scritto a quattro mani da Claudio Finelli e Antonio Mocciola, con la regia di Mario Gelardi. In scena Antonio Agerola e Fulvio Sacco vestono i panni, rispettivamente, del poeta di Recanati e dell’amico, l’esule napoletano Antonio Ranieri, vicino a Leopardi fino agli ultimi istanti della sua vita. Ad impreziosire la messinscena, la partecipazione di Lalla Esposito e Irene Grasso, sulle musiche originali e le immagini a cura di Ciro Pellegrino.
Il 13 giugno 1837, onomastico di Antonio Ranieri, fu l’ultima notte di Giacomo Leopardi che morì l’indomani mattina. Lo spettacolo si propone di portare in scena gli ultimi momenti della tormentata esistenza, tra sofferenze e dolori, del poeta marchigiano. Attraverso la storia dell’amicizia con Ranieri viene messo a nudo l’animo più sensibile di Giacomo Leopardi, un uomo vivace, esuberante, curioso di porgere lo sguardo oltre il “natio borgo selvaggio”. Dalle lettere scritte per il sodale napoletano, s’intuisce che il sentimento provato da Giacomo andava ben oltre il legame amicale. Si trattava di una vera e propria passione per l’uomo con cui trascorse gli ultimi sette anni della sua vita. Una passione, forse, non ricambiata da Ranieri. Una passione repressa e inconfessabile per quei tempi.
A rafforzare l’idea di portare in scena un’emozione universale e la sua impossibilità di esser vissuta, le parole del regista Mario Gelardi, il quale dichiara: «Non ho cercato verosimiglianza fisica e non ho accentuato i malanni di Leopardi, con gli attori abbiamo cercato di restituire la sofferenza fisica attraverso l’impossibilità di essere fino in fondo se stessi» e continua: «Quasi come se la volontà di non vivere una passione, un sentimento, in qualche modo soffocasse i due protagonisti».
Due uomini e una storia. Una storia che non ha fatto epoca, perché l’epoca era quella sbagliata. Il poeta marchigiano malaticcio e il bellimbusto partenopeo rampante: l’unione fece la forza di entrambi, finché il cuore di Giacomo Leopardi non resse. Antonio Ranieri non ebbe parole gentili, post mortem. E le sue lettere indirizzate all’artista furono lacerate. Ma le parole di Giacomo pesano come macigni, e la sua bella grafia parla ancora d’Amore. Per chi ai tempi non volle sapere, non volle vedere, non volle comprendere. E per chi ancora adesso assegna a Giacomo Leopardi solo caste fantasie frustrate o, peggio ancora, sesso raccattato con avarissime mance. Non fu solo quello. Che ci piaccia o no, Leopardi Amava Ranieri.