Da pochi giorni è uscito Superficiale il nuovo singolo di Jovine che anticipa l’album in uscita nei primi mesi del 2015. Un brano che spiega la sua visibilità in un reality che è stata amata e odiata dal pubblico. Con The Voice, Valerio Jovine ha raggiunto una popolarità già consacrata con la sua collaborazione con i 99 Posse, nella trasmissione ha imposto il suo reggae napoletano, portando all’audizione una coraggiosa versione reggae di Like a Virgin, “debellando” l’omofobia giamaicana, da sempre la musica giamaicana è associata al peace & love, ma oltraggiosamente omofobica. Le varie espressioni musicali di Valerio riscattano i più deboli da una società di padre padrone, la sua elevatissima personalità permeata da profonda umanità imperversa nelle sue canzoni, come nella sua ultima Napulitan, un vero e proprio inno di orgoglio di appartenenza e il suo fervore, trascina i fan anche nei suoi coinvolgenti live.
Superficiale, primo singolo che anticipa l’album che uscirà inizio 2015…
«L’album non ha un titolo ancora ufficiale, ma Dint’a capa mia, sì. I nostri dischi rappresentano quello che viviamo, questo sarà il settimo album, e descriverà anche il mio periodo vissuto in tv, in un reality show, che non mi sarei mai immaginato, un viaggio vissuto tra il reality show e i 99 Posse, la cosa più surreale che ci possa essere per un essere umano, passare dai 99 Posse a un reality show, però questa è la mia vita.»
Due estremi infatti…
«E in mezzo ci sono io!»
Superficiale lo hai scritto durante il rientro da The Voice, con quale emozione e rabbia lo hai scritto?
«Difficilmente metto la rabbia nelle canzoni, mi è capitato in un brano scritto tempo fa, Siente, pensato e dedicato agli infami. La musica la faccio per necessità e, non per rabbia. Superficiale doveva avere tanti significati, e, soprattutto rappresentare quello che avevo appena finito, il viaggio in The Voice, durato un istante o quattro mesi però in questo lasso di tempo sono andato in superficie, andando in tv e visto da tutti, giudicato anche dalla Carrà, per fortuna in maniera positiva, cioè io che viaggio nell’underground, per un momento sono stato in superficie, un vecchi detto napoletano dice, ‘e cacciato ‘a capa ‘a fore ‘o sacco. Ho ricevuto tanto affetto dalla gente, immenso, spropositato, anche rispetto a come lo immaginavo prima di cominciare la mia esperienza in The Voice. Le persone che mi conoscevano mi dicevano “stai facendo una cosa bellissima, anche se ti conoscevo già prima”. Per le persone nuove ero una scoperta, e, come in tutte le cose, ho scoperto anche il male, per esempio, gente che la sera, invece, di andarsi a fare un giro, o bersi una birra o sentirsi una bella canzone o fare qualsiasi cosa bella, va sulla tua pagina del social per scrivere cose brutte, sparlare di te, quando poi il mio viaggio a The Voice, per chi non l’avesse ancora capito, era di marcare che, nella vita, io amo fare una sola cosa, la musica, e, ho provato a ribadirlo in un programma televisivo. Ho ricevuto, nello stesso tempo, tanto bene e tanto male, per cui dovevo spiegarlo in una canzone che, alla fine, io preferisco il bene universale, il male è talmente banale, che non mi ha toccato minimamente, vado avanti grazie al bene della gente.»
E comunque sempre un arma a doppio taglio andare ai reality, ci sono anche molti artisti che li denigrano…
«Viviamo in un mondo particolare, forse prima facevo parte anch’io di quelli che storcevano il naso. Anche se sono uscito da un reality non sono uno di quelli che si mette e guarda con passione la trasmissione o i reality. Ora va in onda XFactor, la mia compagna lo vede, ma chiedo a lei di non farmelo vedere quando io sono in casa, dopo quattro mesi dentro non ce la faccio più. Se fai il tuo lavoro con amore e rispetto, marcando come ho fatto io dalla prima puntata, che amo fare il reggae, ma non per atteggiarmi a giamaicano o che faccio reggae, ma perché è il mio modo di esprimermi. Se uno mi da la possibilità, con i mie polsini e con il mio braccio destro e quello sinistro, e, il mio cappello, posso fare anche Il cielo in una stanza, e, infatti mi sono ritrovato a fare questa canzone.»
Com’è nata questa tua passione per il reggae?
«È nata semplicemente. Il primo disco aveva solo dei piccoli richiami reggae, era un disco di un giovanissimo che si affacciava alla musica. Dopo un mini tour nel 2000 mi ritrovai ospite di alcuni amici a Procida, dopo aver cercato inutilmente un campeggio, questi ragazzi avevano centinaia di dischi vinili reggae e ascoltandoli pensai, ma forse mi piace questo genere? E mi ritornò alla mente uno degli album che mio padre ascoltava sempre in macchina, Survival di Bob Marley, quindi questa matrice di base c’era già, e devo dire che, da quando mi sono ritrovato in questa casa, con questi miei amici, ho pensato che quello era il vestito che mi stava bene addosso, che negli anni si è consolidato. Infatti, subito dopo nasce il mio secondo album Ora, dalla necessità di scrivere qualcosa dopo aver vissuto tutta la tragedia di Genova e di Carlo Giuliani.
Per cui il reggae è diventato una necessità e l’ho sempre rispettato tantissimo, da quando ho cominciato a capire che lo amavo, avrò visto centinaia di concerti reggae, addirittura Bunny Wailer, i Congos, concerti che non avrei mai immaginato di vedere nella mia vita. Ho provato a fare anche una ricerca nel reggae, cercando, assolutamente, di non imitare quello giamaicano, ma di renderlo mio, e, oggi mi sento, certo non sono l’unico, uno dei principali esponenti reggae napoletani.»
Non ti senti un po’ solo in questo genere…
«Meglio solo che male accompagnato, ahah. È un discorso particolare. Se, invece, dell’arrivo in mainstream dell’hiphop, fosse arrivato il reggae, probabilmente oggi sarei milionario, perché già esponente di questa corrente. Preferisco che siamo una ventina, che ci apprezziamo a vicenda, che centinaia di migliaia di rapper che più o meno dicono tutti la stessa cosa. Con questo non sto denigrando assolutamente l’hip hop, perché anche nel mio disco ci saranno presenze eccellenti dell’hiphop, c’è chi lo fa bene e io lo rispetto, però c’è un’inflazione.»
Il tuo reggae è combinato con la denuncia…
«Ne parlavo con il mio bassista, con il quale produciamo tutte le nostre canzoni, Alessandro Aspide, e anche dj nel mio live “Jovine on the riddim”, non mi sono mai fermato a dire, devo essere questo e devo per forza denunciare o dire qualcosa. Devo dire quello che penso, anche un pensiero semplice come l’omaggio a Maradona, che non è assolutamente un pezzo di denuncia, anche se poi, alla fine, dice che anche un re può cadere, cioè che tutte le persone possono sbagliare in questo mondo, cerco di trarre anche un aspetto da tutto questo, poi ci sono pezzi di denuncia. A un cantautore, come mi sento io, capita che le canzoni nascono da sole, e a volte succede che un pezzo è di denuncia o semplicemente ispirato da un odore o da una persona che ti è familiare o da un sentimento.»
Vivi anche in un ambiente, Napoli, che vive di mille contraddizioni e vissuti..
«C’è molto da raccontare, infatti, poi quest’anno ho avuto una bambina e mi sono cimentato anche nello scrivere una canzone su questo meraviglioso e grandioso evento e, non volevo assolutamente scrivere una canzone banale su mia figlia, era la cosa più brutta che potevo fare. Può succedere facilmente scadere nella banalità per un musicista, ma è l’unica cosa che io combatto nella mia musica. Provare a diventare banale è una cosa che odio e non ci vorrei arrivare.»
Su questo nuovo album puoi anticiparmi qualcosa? Sicuramente una collaborazione con J-Ax, visto che sarai nel suo album…
«Ci sono tante collaborazioni eccellenti che io amo. J-Ax mi ha preceduto chiamandomi e dicendomi ti voglio nel mio disco, la canzone si chiama Un altro viaggio, e l’album si chiama Il bello di essere brutti. Onestamente quando ho scelto Ax nel mio viaggio di The Voice, non m’immaginavo assolutamente né di arrivare tra i primi tre della sua squadra, né di essere salvaguardato nel mio fare reggae così tanto da lui, né di trovare una persona estremamente umana e seria, mi aveva promesso di fare un pezzo insieme, e, passato del tempo io non l’avevo mai chiesto, solo perché non volevo approfittarne e non è nella mia indole, ed è stato lui a chiamarmi.»
Che musica ascolti aldilà del reggae, c’è un artista in particolare che segui e dopo vengono gli altri?
«Ci sono più le canzoni, in ogni genere, che, dici questa è irraggiungibile, ma i generi sono veramente svariati. Nell’infanzia ascoltavo la musica degli anni ‘50 e ‘60, come i Platters o Elvis Presley, trovavo in questa musica tantissima melodia e semplicità e, mi è servita. Ascoltavo anche tanta musica pop, di quella che uno si vergogna di dirlo. Sono cresciuto con i 99 Posse, mio fratello era uno di loro, poi io ci sono entrato, mi arrivavano i dischi dei 99 Posse prima che uscissero. Ho avuto la fortuna di collaborare con artisti che ascoltavo, chi immaginava mai, quando ho sentito i dischi di Pino Daniele e visto i suoi live, che un giorno avrei collaborato con Tony Esposito, Tullio De Piscopo, avere un rapporto d’amicizia con James Senese.
Dalla musica, comunque, cerco di trarre spunto, ma come sensazione, sensibilità.»
Visto che sei un cantautore pensavo seguissi una linea cantautoriale italiana…
«Quello che scrivo è sempre dettato dalle mie emozioni, scrivo perché è una necessità non mi ispiro al cantante che seguo.»
Pensi troppo allora?
«Penso assai, infatti, nel mio prossimo disco ci sta un pezzo che si chiama Penso.»
Hai ricevuto da poco il Premio Musella…
«Ho partecipato per tre volte al Premio Musella, e ho cantato vari brani di Mario Musella, e quest’anno, qualche giorno prima, mi è arrivata la notizia che avevo vinto il premio Musella.
Onestamente rimarrà nelle mie cose carissime, dico sempre che bisogna tenere ben presente la storia musicale della nostra città, per sentirsi a proprio agio quando sali su un palco. Se non passi per gli Showmen, i Napoli Centrale, Mario Musella fino ad arrivare a Pino Daniele, agli Almamegretta e ai 99 Posse, non puoi pensare di fare il musicista, le radici e la storia sono fondamentali.»
Gli arrangiamenti a The Voice, erano tutti tuoi?
«Per gli arrangiamenti ho avuto la fortuna di lavorare con il mio team, appunto Alessandro Aspide e il mio ex chitarrista Francesco Spatafora, che lavoravano a Napoli. Quando sceglievamo insieme alla redazione e agli autori il brano da fare, per prima cosa chiamavo a Napoli, e, dicevo facciamo l’arrangiamento di questo brano, quello di Like a Virgin l’ho pensato proprio io, insieme a loro. Quando stavo a Milano dovevi andare per telefonate e, dopo il provino che preparavano loro, andavo in studio con l’orchestra, e i musicisti si fidavano molto di me, anche grazie al fatto che collaboravo con i 99 Posse e avevo superato la trentina.
Sono riuscito ad avere un rapporto, all’interno della trasmissione, soprattutto con i musicisti dell’orchestra davvero bellissimo per cui mi hanno aiutato a fare certe canzoni in versione reggae. La cosa più bella che racconto, giusto come sfumatura, che all’ultima puntata, quando cantai Una carezza in un pugno, il percussionista mi fermò, e, disse, io non smetterò mai di ringraziarti, faccio il percussionista da vent’anni in rai ed è la prima volta che suono reggae.»
La scelta di Like a Virgin, una vera sfida…
«Il reggae giamaicano è estremamente omofobico, oltre a essere estremamente razzista nei confronti dei bianchi per ragioni di schiavitù etc. L’omofobia è una cosa che viene sempre alla luce quasi in ogni canzone, viene estremizzata a volte anche come semplice sfottò, in Giamaica succedono delle cose abbastanza negative da questo punto di vista. Nella mia sfida, come cantante reggae, era proporre una canzone reggae in tv e, che doveva essere una cover e, che toccasse questa intolleranza e, mi sono detto, io devo fare Madonna, icona gay per eccellenza, per cui il giamaicano sicuramente non si ritroverà in quello che sto facendo, ma io mi ritrovo perché sono in un mondo diverso possibile, che è quello che mi piace.»
Questa canzone poi te l’ha rubata Suor Cristina…
«Resta e rimarrà una canzone di Madonna, io ne ho fatto una cover reggae e rimarrà tale. Suor Cristina come primo singolo dopo The Voice ha scelto Like a Virgin. Io mi sento, non lo so, felice di essere stato fonte di ispirazione per una persona, però ciò l’ho riassunto tutto in una canzone, che forse sarà il prossimo singolo che uscirà. Ho sintetizzato tutto il mio pensiero sui reality show e su quello che ho fatto all’interno di The Voice, e anche su Suor Cristina.»
Ci saranno anche alcune cover che hai fatto a The Voice in questo prossimo disco?
«In questo album non ci saranno le cover, ma questo per scelta, voglio dedicare successivamente un capitolo sulle cover, dopo che avremmo finito questo album a cui stiamo lavorando in maniera abbastanza dura, ci dedicheremo completamente alle cover. Non so se faremo un cd o un album in free download, a me piace fare musica, la devo sempre fare, se no, non sto bene se non faccio musica. Non vedo l’ora di finire questo per fare il disco delle cover.»
Sull’omofobia scriverai qualcosa?
«Nessuno aveva compreso sul perché della mia scelta di Like a Virgin, è vero il reggae giamaicano è omofobico, e, io mi sento estremamente reggae, ma mi sento anche estremamente napoletano, e sono anche un persona libera, e, sto bene con chiunque. Like a Virgin prendeva proprio questa pensiero, non so se ci riuscirò con un’altra canzone.»