La trasposizione teatrale del film Mine Vaganti approda al Teatro Diana dove resterà in scena fino al 24 aprile. La messa in scena, che anche in questo caso porta la firma di Ferzan Ozpetek, segna l’esordio a teatro del regista turco.
L’idea di portare questa storia sulle tavole di un palcoscenico è nata anni fa, prima ancora che diventasse un film. Oggi a distanza di anni, dietro invito di Marco Balsamo, il progetto ha preso forma, ed è venuto fuori uno spettacolo in cui i sentimenti, i momenti malinconici e le risate prendono vita, lasciando intatto lo spirito della pellicola cinematografica.
«Ho dovuto lavorare per sottrazioni – racconta Ferzan Ozpetek – lasciando quell’essenziale intrigante, attraente, umoristico. Ho tralasciato circostanze che mi piacevano tanto, ma quello che il cinema mostra, il teatro nasconde, e così ho sacrificato scene e ne ho inventate altre, anche per dare nuova linfa all’allestimento».
Per coloro che hanno visto il film, sicuramente hanno potuto rivedere alcuni dei momenti salienti della pellicola uscita nel 2010, ma altrettanto ne hanno saputo cogliere le esigenze registiche e le sfumature scelte per l’adattamento teatrale. Certo, come racconta lo stesso Ozpetek, sono state sacrificate delle scene, ma al contempo ne sono state aggiunte delle altre che hanno dato una nuova linfa al racconto.
Al centro della storia troviamo ugualmente la famiglia Capone, proprietaria di un grosso pastificio, alle prese con le sue radicate tradizioni culturali alto borghesi e un padre desideroso che i suoi due figli prendano in mano le redini dell’azienda. Le aspettative del capo famiglia vengono a decadere nel momento in cui uno dei figli dichiara la sua omosessualità, battendo sul tempo il fratello minore, tornato da Roma e impaziente di aprirsi ai suoi cari e vivere nella verità. La vicenda in questa occasione è ambientata a Gragnano, un paesino dove un coming out potrebbe ancora suscitare scandalo. Ed è proprio attraverso questo scandalo, che il regista pone l’attenzione. Uno scandalo dietro il quale si celano storie di persone, di scelte sessuali, di come ci si affanni ad accettare un cambiamento sociale ormai irreversibile.
Nella versione teatrale di Mine vaganti, pur tralasciando alcuni aspetti che in un certo qual senso seguono il filone dell’opera cinematografica, Ozpetek confeziona una messa in scena – utilizzando il suo stile che da sempre lo contraddistingue – in cui la tragedia si traveste di humor, e i silenzi assumono un significato ancora più forte. Il dramma, quindi, indossa una maschera invisibile, quasi a voler camuffare la realtà, che per alcuni è inaccettabile, per altri invece rappresenta la mera esistenza di un destino incerto e travagliato, ma che vale la pena vivere.
Con Mine Vaganti, Ferzan Ozpetek firma la sua prima regia teatrale mettendo in scena l’adattamento di uno dei suoi capolavori cinematografici, con un cast corale, diverso da quello del film, fatta eccezione per Carmine Recano che nella pellicola interpretava il compagno di Tommaso, mentre in questa occasione ricopre il ruolo di Antonio, il figlio maggiore della famiglia Capone. Tutti gli attori si amalgamano bene in questo adattamento scenico, in cui grazie a Luigi Ferrigno che si è inventato un gioco di movimenti con i tendaggi, lo spettacolo si muove in un ritmo continuo, anche durante le scene. Anche le luci di Pasquale Mari fanno la loro parte, lo stesso per i costumi di Alessandro Lai.
Bravi veramente tutti. Da un Erasmo Genzini, che per essere la sua prima volta a teatro è andato ben oltre le aspettative del pubblico, ai consolidati Francesco Pannofino, Iaia Forte, Carmine Recano, Simona Marchini e ancora Roberta Astuti, Sarah Falanga, Mimma Lovoi, Francesco Maggi, Luca Pantini ed, Eduardo Purgatori, che attraverso la loro bravura ed esperienza hanno contribuito a portare sulle tavole di un palcoscenico uno spettacolo piacevole da vedere. Proprio come racconta lo stesso Ozpetek: «Ho realizzato una commedia che mi farebbe piacere andare a vedere a teatro, dove lo spettatore è parte integrante della messa in scena e interagisce con gli attori, che spesso recitano in platea come se fossero nella piazza del paese e verso cui guardano quando parlano. La piazza/pubblico è il cuore pulsante che scandisce i battiti della pièce».