Lasciateci perdere era il titolo provvisorio di Mediterraneo che ha vinto l’Oscar nel 1992 per il miglior film straniero battendo il favorito Lanterne rosse di Zhang Yimou. Ora è diventato il titolo azzeccato dell’autobiografia scritta da Gabriele Salvatores con Paola Jacobbi (per Rizzoli, pag. 226). Esso è inteso come un imperativo categorico del perdersi per viaggiare nel mondo ed in se stessi sperimentando nuove forme di conoscenza e di creatività. E a ben guardare tutto il cinema di Gabriele Salvatores è attraversato da questo intimo bisogno che si traduce in necessità di spaziare tra generi diversi. Il regista, napoletano per nascita ma milanese di adozione, non può essere infatti incasellato in un unico genere cinematografico. “É un cinema libero, eclettico, spesso addirittura sperimentale” come afferma Paola Jacobbi nella prefazione che ha raccolto le confidenze spesso inedite di Salvatores.
Attraverso la genesi dei suoi film e scavando nelle pieghe della memoria il libro ci parla della vita di un uomo con le sue fragilità e le sue ansie nonché del suo concetto di cinema che è una disciplina che aiuta a vivere mentre lo fai ed insieme rifugio da una realtà deludente.
Dalla fondazione del teatro dell’Elfo a quella della Casa di produzione Colorado , passando per la realizzazione dei suoi film, Gabriele Salvatores fa dell’ironia e della modestia le chiavi di lettura della sua biografia per nulla autocelebrativa. Parla anche del suo rapporto con le donne che lo hanno sempre sostenuto regalandogli spesso quella sicurezza agognata: Corinna e Rita. Ne viene fuori il ritratto di un uomo insicuro e ansioso che sa meravigliarsi anche oggi del successo ottenuto.
Molti gli aneddoti e gli incontri narrati che fanno comprendere al lettore quanto sia difficile e faticoso realizzare un film soprattutto se non si viene supportati nelle intenzioni dai collaboratori. E per questo motivo Gabriele Salvatores si è sempre rivolto ad amici fidati quali Diego Abatantuono e Fabrizio Bentivoglio per ruoli impegnativi nei suoi film.
Commoventi ed intense le pagine che riguardano la sua famiglia e il ricordo dei genitori come altrettanto significative quelle della realizzazione dei documentari Italy in a Day e Fuori era primavera.
Contrariamente al solito noi di Mydreams vi trascriviamo alcune righe delle pagine finali del libro.
«Sono a Roma, è un’estate rovente e non si respira. Arrivo a Cinecittà e sto per andare nella sala di montaggio.Appare un uomo. É più accaldato di me. Sbanda, sembra che stia per avere un malore. Me ne accorgo in tempo e lo sorreggo. É Federico Fellini. Appena si riprende , mi ringrazia. Si asciuga il sudore. Mi presento. Lui mi domanda: ”Che cosa fai?” Io, timidamente, senza nemmeno capire l’enormità della mia definizione, pronunciata proprio davanti a lui, mormoro: ”Il regista”. Lui, con un sorriso, mi dice solo:”Coraggio”. Se ne va . Resto imbambolato fino a quando lo vedo sparire».
Il cinema è questo: una casa piena di porte a cui corrispondono sogni. I più belli sono quelli della giovinezza quando anche Gabriele Salvatores, nella foto di copertina, con folti e lunghi capelli scuri strimpella una chitarra e immagina di cambiare il mondo.