Un progetto strumentale che mescola diversi stili con la musica di tutte le culture che circondano l’Italia è sicuramente quello delle Lame da barba. Dalla Grecia ai Balcani, dalla Turchia all’Africa settentrionale, alla Francia, alla Spagna e a tutte le altre tradizioni del Mar Mediterraneo, la band attinge dalla tradizione creando un sound nuovo, fresco ed attuale. Loro sono: Francesco Paolino (mandolino, chitarra e mandola), Alessandro Predasso (mandolino, chitarra e mandola), Stefania Megale (sassofoni e clarinetto), Giuseppe Dimonte (contrabbasso) e Alberto Mammollino (percussioni). Per conoscere meglio questa interessante realtà musicale abbiamo intervistato Francesco Paolino.
Come e quando nascono Lame da barba?
«Tutto inizia con me (Francesco) e Alessandro nel 2009 nella ‘Compagnia Altovento’, suonavamo un repertorio di musica tradizionale del sud Italia. Dopo l’arrivo di Stefania abbiamo iniziato a suonare in strada con il nome “Trio Flaminaire”, la marca di un accendino… sì! Eravamo anche tutti e tre fumatori convinti. È stato dopo aver registrato la nostra prima demo casalinga che abbiamo sentito la necessità di cambiare nome e la direzione del progetto. Da lì in poi prendono vita le Lame da barba, si parla del 2012. Poco dopo si aggiunge Alberto. Nel 2016 si aggiungono Pippi ed in seguito Gabriele e Totò che si alternano al contrabbasso».
La vostra storia è cominciata per le strade d’Italia, cosa avete raccolto da quest’esperienza?
«La strada è stata ed è ancora maestra di vita. È il luogo in cui siamo cresciuti, musicalmente e come persone. Migliaia di esperienze sparse per tutta l’italia formano un grande puzzle di ricordi, abbiamo tanti amici e tante seconde famiglie dove ormai siamo di casa».
Dalla strada ai palchi, cosa è cambiato e quali sono le sensazioni?
Sono due mondi molto differenti e sopratutto due modi di vivere la musica molto diversi. In strada cerchiamo di ammaliare i passanti, tariamo la nostra musica in base al luogo in cui suoniamo. Il palco è un altro luogo, che sia un teatro, un bar o una piazza sul palco senti l’adrenalina che scorre:è un altro contesto e si crea un’intesa differente con le persone. La stessa musica in base al luogo in cui viene inserita ha un effetto sulle persone differente, è strano ma è cosi, quante volte si sente parlare del violinista famoso che fa sold out nei teatri e poi in strada riesce ad acchiappare a malapena 30 dollari. Lui porta la sua abitudine di fare concerti nei teatri nel contesto della strada, che è totalmente differente e così non funziona! Occorre rinascere ad nuovo modo di far musica, cioè musica da strada».
Dal valzer alla tarantella, dalla Grecia ai Balcani, passando per l’Armenia fino a ritornare alla colonna sonora in stile italiano, le Lame da barba mantengono salde le radici della musica mediterranea. Come nascono le vostre composizioni?
«La voglia di comporre è nata almeno cinque anni fa durante un incontro casuale con le Chapeau des rêves: Maurizio e Stefania, due mimi formidabili oltre che grandi amici. All’epoca costruimmo insieme uno spettacolo di pantomima musicata dal vivo, brani come “Il gioco del mimo”, il “Valz del Dio Farfalla”, “Anonimo in DO minore”, la “Tarantella prima”
nascono per quello spettacolo. Altri brani hanno vita propria: “Ausilia” l’abbiamo composta e dedicata a due giovani sposi che ci hanno invitato a suonare al loro matrimonio in Sicilia, la “Tarantella Ultima” vuole essere un piccolo e semplice esperimento armonico ipnotico, “Grand Cabaret” nasce perché pensavamo a Fellini e ci piaceva l’idea di inserire un brano in stile felliniano! …insomma ogni brano ha vita propria e la composizione per noi è un processo creativo che muta nel corso del tempo».
Parliamo dei due progetti discografici. Lame da Barba (11 brani) e La Muta Vita (9). In cosa si accomunano e in cosa si differenziano?
«Il lavoro di tutti questi anni lo abbiamo voluto rinchiudere in questi due lavori, riallacciandoci al discorso di prima è come se il primo fosse stato composto per essere suonato in strada, invece il secondo per essere suonato nei teatri, rappresenta il nostro mutare nei luoghi. Il primo è più frizzante, con brani a struttura chiusa, il secondo ha un respiro più mediterraneo, con brani che dal vivo si aprono a improvvisazioni, tappeti sonori e quindi con strutture più dilatate».
Come mai la scelta di proporre un progetto strumentale?
È capitato per caso quando ci siamo innamorati delle musiche dei barbieri (da qui – come dicevamo all’inizio – il nome Lame da Brba). Anticamente nelle sale da barba sopratutto nel sud italia si suonava tanta musica, chi il mandolino… chi la chitarra, e si è formato un repertorio di musica strumentale bellissima dal quale abbiamo tratto ispirazione. L’italia culturalmente è fondata sulla vocalità, non nascondo infatti che non è per niente semplice proporsi ai vari festival nazionali»«.
Quali sono i vostri obiettivi e progetti per il 2018?
«Le promessa per il 2018 è quella di andare a suonare all’estero per provare un pubblico con un ascolto diverso e poi chissà! Tutto è sempre così imprevedibile…».
Avete mai valutato l’idea di proporvi in un talent, oppure siete totalmente contrari?
«Siamo totalmente indifferenti e lontani anni luce da quel mondo».
Altri progetti?
«Ci piacerebbe sperimentare un po’ inserendo nei nostri brani l’elemento vocale. Un altro desiderio è quello di addentrarci musicalmente ancora di più nel bacino del mediterraneo, per seguire le linee tracciate con La Muta Vita».