Si avvia all’inizio, anche quest’anno, la riuscita rassegna Venezia-Napoli Il Cinema Esteso dal 23 al 28 settembre. Un ponte immaginario ed artistico tra il festival cinematografico veneziano (dopo l’Oscar, il più antico del mondo) e la città di Napoli che si apre ad anteprime e distribuzioni di film che, purtroppo, non sempre hanno vita facile.
Giovedì 11 settembre si comincia con l’anteprima assoluta: La zuppa del demonio di Davide Ferrario, presente in sala. Il titolo è mutuato dal termine usato da Dino Buzzati nel commento a un documentario industriale del 1964, Il pianeta acciaio, per descrivere le lavorazioni nell’altoforno. Il documentario è un interessante viaggio tra i meandri dell’utopia industriale dagli inizi del novecento fino agli anni ’70. Immagini bellissime ed inquietanti se viste con gli occhi di oggi e, quindi, con una visione disincantata, cinica e lontana anni luce dalle parole di Marinetti (il fondatore del Movimento Futurista) con cui l’opera si apre: Abbiate fiducia nel progresso, che ha sempre ragione, anche quando ha torto, perché è il movimento, la vita, la lotta, la speranza. In effetti, la nostra collettività ha completamente dimenticato la gioia folle che seguiva queste immense distese di fabbriche che dovevano migliorare l’economia e la vita stessa degli uomini in un benessere generalizzato e condiviso. Una società industriale che, anche nelle prime lotte di classe degli anni Settanta, non dimentica che c’è un sentimento collettivo, un pensiero comune volto alla produzione e ad una prosperità diffusa. Anche l’azione più atroce, la FIAT buttava in mare le carcasse di automobili, venivano fatte con la leggerezza di chi giustifica tutto all’insegna di un concetto che è ancora agli albori e che si manifesterà in tutta la sua brutalità solo molti anni dopo e con effetti devastanti nel secolo successivo, quello nostro.
Majakovskij diceva che dopo l’elettricità non poteva più interessargli la natura e il grande Primo Levi amava le costruzioni dei ponti perché rappresentavano il contrario delle frontiere. Una poesia che, oggi, non può e non deve più esserci se non si cambiano le dinamiche e i giochi e se non muta il rispetto, assoluto, che si deve avere nei confronti della natura. Il progresso è stato come i postumi di una sbornia: dopo l’euforia rimane solo un gran mal di testa. Il film è stato realizzato con il found footage con frame presi dall’Archivio Nazionale del Cinema d’Impresa di Ivrea, ex sede della Olivetti, le cui immagini chiudono questo documentario assolutamente da vedere.