Un grande evento stasera da non perdere, la compositrice e pianista Giulia Mazzoni suonerà per la prima volta in Campania, al Museo Emblema di Terzigno – Napoli, nell’ambito della dodicesima edizione del Divino Jazz Festival. Dopo il suo primo album di successo “Giocando con i Bottoni” è uscito il suo secondo lavoro discografico intitolato “Room 2041”, in cui ritroviamo il suo stile interpretativo racchiuso in queste riflessioni di viaggi intimistici partiti dalla stanza 2041 di un grattacielo di Chicago, per poi arrivare in Cina, dove ha riscosso un enorme successo.
Stasera suonerai in provincia di Napoli. Come vivi questa emozione e cosa ti aspetti dal pubblico napoletano?
«La vivo con grande gioia e con grande voglia di portare la mia musica in una terra meravigliosa, piena di cultura musicale dove la melodia e il ritmo sono due degli elementi caratterizzanti e fondanti, ma anche la passione. Io spero e ho voglia di suonare, non ho paura, anzi, ho molta gioia stasera di dover suonare a Napoli. È un’opportunità importante e ho voglia di fare questo viaggio con le persone e spero di emozionarmi».
Parliamo del tuo secondo album, Room 2041, leggo titoli in inglese, rispetto al primo album. Come mai questa scelta?
«È un album che parte dall’estero, già dal titolo, Room 2401, ricorda una stanza realmente esistente a Chicago, dove ho ritrovato me stessa e la voglia di raccontarmi, di nuovo, con la musica e di aprire le porte della mia stanza al mondo. I titoli in inglese perché è un disco che parte dal mondo, per poi tornare nel mondo. Questo album uscirà anche in Cina, Corea, Giappone e Hong Kong, sempre per Sony Music. Questo è un progetto che ho scritto e concepito nel mondo. Alcuni brani sono stati scritti in America, altri pensati e concepiti quando ero in Cina. Dopo l’uscita del primo album, Giocando con i bottoni, sono successe tante cose, tante esperienze, non solo artistiche ma anche umane, che mi hanno arricchita e fatto crescere e scoprire nuove culture, nuove musiche, nuovi suoni, nuove persone, grazie a una serie di viaggi che, sicuramente, mi hanno permesso di arrivare a questa stanza».
Eri da sola in questa stanza 2401 con i tuoi pensieri…
«È la stanza dove ognuno di noi ci si può ritrovare. Io ho trovato il coraggio e la voglia di raccontarmi, in quel luogo, che è un luogo fisico però può anche essere un luogo spirituale. La stanza può essere dentro di noi, non per forza in cima a un grattacielo. Ognuno di noi ha la propria stanza interiore».
Parliamo nello specifico di alcuni brani di Room 2401. Winter’s Dream, ad esempio, qual è il tuo sogno invernale?
«Il mio sogno è quello di potermi raccontare con la musica e, attraverso di essa, di riuscire a far raccontare le persone, essendo una musica strumentale, ognuno può riscrivere la propria storia, ascoltandola, e, di vivere liberamente con la fantasia le proprie paure, le proprie gioie, i suoi ricordi».
Il brano che da titolo all’album, Room 2401, inizia con un suono molto determinato che man mano diventa più sentimentalista. Come se qualcuno si togliesse una scorza per diventare più duttile per emozionarsi…
«In Room 2401 c’è un intro molto deciso per poi arrivare a un tema più romantico e dolce. Cerca di descrivere ciò che ho provato in quella stanza, in quel momento, e cioè, la voglia di raccontare la Giulia di oggi. In Giocando con i bottoni, la mia stanza era piccola, era una scatola di bottoni ed era una fotografia della mia infanzia, anche il mio modo di scrivere era diverso da quello di oggi, che si ispirava a un periodo giovanile, alcuni brani erano stati scritti a sedici anni. Questo, invece, è un disco che parla del mio presente. Rappresenta ciò che sono oggi, e anche la mia anima che non deve essere per forza un’anima solare, ma anche un’anima che cerca di descrivere i sentimenti più ombrati, le paure e le emozioni vere».
Scrivi ancora per immagini sul tuo quadernetto o hai cambiato tipo di scrittura e composizione?
«Continuo a scrivere, ma in vari modi. Questo è uno dei tanti con i quali scrivo per immagini, mi fa piacere che ti ricordi. Ora annoto i miei vari pensieri con le parole che ho anche condiviso all’interno del libretto del cd, per far capire alle persone il processo creativo che sta dietro alle mie composizioni. Quando sono in viaggio, spesso mi sono trovata a cantare le melodie, com’è successo con il tema del violoncello nel brano, Ellis Island, mi trovavo sul traghetto per andare ad Ellis Island e mi è venuto il tema del violoncello e l’ho cantato sul cellulare per ricordare la melodia. Alcuni mi definiscono pianista, lo sono, perché il pianoforte è il mio mezzo ed è un mezzo per me, non è né un inizio n’è una fine, in realtà, io sono una compositrice».
Parliamo di In Your Eyes. È dedicata a qualcuno in particolare o in chi ti sei specchiata?
«Un brano che s’ispira al periodo che ho fatto una serie di concerti, la scorsa estate, in Cina. Sono stati molto importanti per me, perché ho potuto conoscere una nuova cultura, mi sono confrontata con un pubblico nuovo ed è stato bello a livello umano e artistico. Ho voluto dedicare un brano a tutti quelli gli occhi di persone che hanno dato fiducia e, senza pregiudizio, hanno ascoltato e apprezzata la mia musica. In questi teatri, da duemila posti, mi presentavo con un repertorio inedito, di musica mia che il pubblico non conosceva, non proponevo musica classica o autori classici conosciuti, portavo la mia musica, in particolare l’album “Giocando con i bottoni”. È stata una tournèe che, con grande sorpresa, ha portato in teatro, tutte le sere, migliaia di persone soprattutto famiglie con bambini. Sono un popolo incredibile perché amano veramente la musica e conoscono bene il pianoforte, quasi tutti lo suonano. In Your Eyes è dedicato ad una bambina che, in un concerto in particolare, a Wuhan, in un teatro circolare con milleseicento persone e io e il pianoforte, al centro del palco, stavo per iniziare a suonare, ho guardato questa bambina in prima fila che mi ha sorriso e da lì è iniziato il viaggio che ho fatto con loro e che continuo a fare con le persone. Io non faccio musica per me o per gli altri, faccio musica con le persone, per me la musica è condivisione con gli altri».
Finalmente un tuo sogno si è avverato, quello di suonare con Michael Nyman…
«Ancora non ci credo ma pare sia vero. Noi ci conosciamo da quattro anni, non avevo mai avuto il coraggio e, neanche, volevo approfittarmi della sua amicizia e della sua stima nei miei confronti, per chiedergli di collaborare insieme. Fino a quando, all’inizio di quest’anno, non mi è arrivata la possibilità di lavorare a questo nuovo progetto e, allora, mi sono fatta coraggio e sono andata a Londra per chiedergli, con tutta l’umiltà possibile, se avesse avuto voglia di fare qualcosa insieme, e lui accettò subito. I sogni a volte si possono realizzare e, in Room 2401, suoniamo insieme il brano The Departure».
Credi che possiate suonare qualche volta in un suo concerto?
«Spero di sì. Potremmo risuonare live questo brano live insieme. Dopo il primo incontro a Londra ci siamo visti a Firenze, dove lui stava facendo un concerto per il Teatro dell’Opera di Firenze e lì, nel foyer del teatro, ho deciso di fare The Departure, brano presente nel film Gattaca, in cui lui ha composto la colonna sonora, brano scritto per due pianoforti. È disponibile anche un video in cui eseguiamo questo bramo, sul canale Vevo».
C’è un altro titolo che mi incuriosisce molto, Rebel Muse…
«Mi trovavo al Metropolitan Museum of Art di New York, sono appassionata di arte e quando posso vado alle mostre o ai musei, m’ispira molto l’arte visiva. Sono rimasta colpita da un ritratto famosissimo di Modigliani che ritraeva Jeanne Hébuterne, la sua musa e il suo amore più grande, purtroppo, ha fatto una fine tragica, si è suicidata. Lei era una pittrice di grande talento che ha fatto anche delle scelte importanti nella sua vita, si è ribellata a un sistema, differente da quello di oggi, una società che non era pronta a certe scelte coraggiose, lei veniva da una famiglia cattolica, lui era ebreo e la sua famiglia disapprovava la relazione con Modigliani e il padre la cacciò di casa. Non era una situazione semplice che lei ha portato avanti con grande amore. Da questa storia e da questo quadro è partita in me una riflessione su tutte quelle donne che, nel corso della storia, hanno cercato di far ascoltare la propria voce e le proprie idee nel mondo dell’arte, della letteratura, della politica, insomma, tutte quelle personalità che hanno cercato di farsi ascoltare. A volte ci sono riuscite, altre no. Volevo celebrare le muse ribelli che ci sono riuscite nella storia ma non solo quelle del passato ma anche le Muse ribelle di oggi, che cercano, tutti i giorni, di poter fare ascoltare e realizzare le proprie idee e i propri sogni».
Che tipo di musicalità hai dato a questo brano. Di rabbia, di amore…
«È un pezzo per piano solo. All’interno dell’album ci sono brani con altri strumenti, come, ad esempio, Ellis Island è un brano per pianoforte e violoncello. In Rebel Muse ho cercato di privilegiare il pianoforte per poter raccontare questa storia. Parte con un intro e come se scrutassi, con la musica, gli occhi di questa donna, Jeanne, e dopo parte una riflessione musicale con un tema molto romantico e di speranza, che vuole dare coraggio a tutte le donne, che cerco di raccontare attraverso la musica. Questo è un pezzo molto romantico e idealista».
Pensi, un giorno, di comporre una colonna sonora per un film?
«Mi piacerebbe molto lavorare per il cinema. Il mio rapporto con l’immagine è molto forte, per ora i film me li faccio io in testa. Mi piacerebbe poter fare delle musiche sui film di qualche regista, quindi, fare il lavoro inverso. Spero che questo possa accadere, ci sto lavorando esperiamo che, in futuro, possa realizzarsi questo sogno».
C’è un messaggio particolare che vorresti dare attraverso questo album?
«Il messaggio che vorrei dare, attraverso la mia musica, è quello di tornare ad emozionarsi per le piccole cose, per la bellezza che, in realtà, ci circonda e che, sempre più spesso, tendiamo a non vedere, quindi, l’emozionarsi per poter emozionare. Questa è una musica emozionale, contemporanea, non è un musica classica ed è una musica che ricerca i sentimenti e si basa sul sentimento. Attraverso la mia musica vorrei dare un po’ di serenità alle persone, farle sognare, che chiudessero gli occhi e poter essere serene per almeno quelle ore di concerto e regalare un po’ di serenità».
Quand’eri adolescente, quale brano classico o contemporaneo amavi suonare sempre e che ti emozionava?
«Sicuramente i Notturni di Chopin, che suonavo spesso per l’impetuosità e per il sentimento che c’era all’interno. Evadevo spesso dalla musica classica, ho fatto studi classici poi ho scelto una via diversa. Non sono un’esecutrice classica, non ho scelto quella strada, sono una compositrice, fin da allora, ero curiosa di conoscere altre cose, suonare autori diversi da quelli che studiavo in conservatorio e scappavo da questi studi. Mi ricordo che, a tredici anni, mi regalarono una partitura di “Lezioni di Piano” di Michael Nyman e, questa partitura, la suonavo quando evadevo da questi studi accademici. Suonavo tutti i minimalisti Ryūichi Sakamoto, Philip Glass, Yann Tiersen, tutti questi autori che, in un certo senso, hanno fatto parte del mio percorso artistico, oltre al percorso classico del Conservatorio. Amavo suonare questa musica, fin da piccola, perché io amo anche quando ascolto la musica, ho bisogno di emozionarmi, qualunque musica sia, senza pregiudizio di genere, può anche essere un pezzo pop suonato su un pianoforte, ad esempio, ho realizzato una versione di Space Oddity di David Bowie a pianoforte. Ci sono brani che mi emozionano al di là del genere musicale».