In Francia, il 18 maggio 2013, è stata promulgata la legge che consente il matrimonio omosessuale risultando, così, il quattordicesimo paese al mondo a legalizzare questo tipo di unione. Nonostante la legge, ci sono state numerose manifestazioni di protesta e proprio in questo clima agguerrito la giuria del Festival di Cannes, presieduta da Steven Spielberg, assegnava a La Vita di Adele la Palma d’Oro al regista – Abdellatif Kechiche – insieme alle sue due attrici – Adèle Exarchopoulos e Léa Seydoux -, fatto senza precedenti nella storia del festival. È stata anche la prima volta che un film ispirato a un fumetto (Il blu è un colore caldo di Julie Maroh) ha conquistato il premio principale della kermesse. Il colore blu torna spesso soprattutto è ben visibile nei capelli della misteriosa quanto affascinante Emma che farà innamorare perdutamente Adele. La vita di Adele è, come tutte le esistenze, un universo complesso che evolve continuamente soprattutto tra l’adolescenza e l’età adulta in cui si è un vulcano di emozioni contrastanti. Adele si lascia andare alla scoperta e alla sperimentazione che forgeranno il suo carattere e che le faranno anche perdere quel guizzo di vitalità, quel barlume di giovinezza che fu necessario per non morire al cospetto di una crudele speranza. La vediamo destreggiarsi come meglio può tra la scoperta della sua identità sessuale, il suo essere donna e la sua solitudine in un film troppo lungo (è la sua vita capitoli 1 e 2) per quello che il regista vuole raccontare. Alle protagoniste va l’assoluto merito di essere molto affiatate e credibili e le loro scene d’amore non nascondono nulla. Sono talmente coinvolgenti che travolgono e fanno venire voglia di essere donne e lesbiche per appropriarsi di quel piacere che loro mostrano così bene di provare. Il rischio di un film ad alto contenuto erotico, però, è proprio questo (a parte rare eccezioni come Shortbus diretto da John Cameron Mitchell e Shame di Steve McQueen): indugiare sull’intimità senza supportarla e approfondirla con una storia corposa e convincente. La fotografia di Sofian El Fani è stupenda e le inquadrature sono belle, ravvicinate, precise e poetiche. Adele, quindi, scopre la vita attraverso le vie del buon cibo, degli amici, del sesso puro, crudo e amorevole ma rimane insoddisfatta. Permane in lei un dolore di fondo che resta lì e che, come una pesante zavorra, le impedisce di volare via a piene mani per continuare, libera, la sua ricerca esistenziale.
Cerca
-
Articoli recenti
- Recensione film: Oppenheimer di Christopher Nolan
- Intervista a Igina Di Napoli, direttore artistico di Casa del contemporanea
- Intervista a Gennaro Duello, giornalista e scrittore molto apprezzato
- Caserta infinita, il titolo della 51esima edizione di Settembre al Borgo
- Vincenzo Pirozzi si racconta dagli esordi agli impegni contemporanei
Find us on Facebook
-