Da oggi, 13 novembre, è disponibile sulla piattaforma streaming Netflix il film La vita davanti a sé per la regia di Edoardo Ponti con: Sophia Loren, Renato Carpentieri, Ibrahima Gueye, Abril Zamora, Massimiliano Rossi, Diego Josif Pirvu, Babak Karimi.
Tratto dall’omonimo romanzo di Romain Gary, scrittore lituano naturalizzato francese, morto suicida nel 1980. Pubblicato nel 1975 da Mercure de France con i diritti teatrali della prestigiosa Casa Editrice Gallimard e con lo pseudonimo di Emile Ajar, ottenne il Premio Goncourt nello stesso anno malgrado Gary avesse già vinto tale riconoscimento vent’anni prima con il romanzo Le radici del cielo, evento unico nel panorama letterario francese.
Il romanzo è stato più volte adattato per il cinema ed il teatro. Nel 1977 è stato infatti trasposto nell’omonimo film per la regia di Moshè Mizrahi con una immensa Simone Signoret nel ruolo di Madame Rosa e Samy Ben-Youb in quello di Momò. Il film vinse l’Oscar come migliore film straniero nel 1978 e fruttò a Casco d’oro ovvero alla Signoret, il Cèsar come migliore attrice protagonista.
La vita davanti a sé questa volta è ambientato a Bari e narra le vicende di un ragazzino dodicenne senegalese Mohammed, soprannominato Momò( Ibrahima Gueye) che viene affidato dal dottor Coen (Renato Carpentieri) a Madame Rosa (Sophia Loren),una vecchia mondana ebrea scampata ai campi di concentramento che si occupa dei figli delle prostitute e delle immigrate clandestine nel suo piccolo appartamento. Momò è sveglio, intraprendente,assetato di affetto e resterà accanto alla sua benefattrice fino alla fine.
Il film ha diversi pregi, primo fra tutti le interpretazioni straordinarie dei due protagonisti. Sophia Loren, alla terza collaborazione con il figlio Edoardo Ponti (2002 Cuori estranei –2014 La voce umana) torna sul set a 86 anni e lo fa con disinvoltura e passione regalandoci un’interpretazione magistrale, intensa e potente. Nella sua lunga carriera cinematografica il ruolo di Madre le è ormai congeniale e sa come far commuovere il pubblico supportata da una regia puntuale, senza sbavature o compiacimenti di sorta. Tutto il film ruota intorno a lei a al suo viso sempre bello ed espressivo. Tutti i tormenti, i rimorsi, i dolori, le angosce della sua vita scorrono nei suoi occhi spesso velati di lacrime e il suo sguardo indugia su Momò con tanta, tanta tenerezza. Ibrhaima Gueye, per nulla intimorito dal recitare accanto ad una diva del cinema mondiale, è perfetto in ogni sequenza del lungometraggio dallo scippo ai danni di Madame Rosa al cimitero. Il suo viso simpatico, i suoi atteggiamenti da finto bullo , i suoi disegni di leoni e leonesse, le parolacce e persino il suo spacciare ce lo restituiscono con quella freschezza propria dell’età. Degne di nota sono anche le interpretazioni degli attori comprimari grazie alla sceneggiatura dello stesso Ponti e di Ugo Chiti che si rivela vincente nei dialoghi e nel dare loro risalto . Il film punta sulle grandi emozioni ed invita gli spettatori a riflettere sui concetti di perdono, tolleranza, solidarietà e amore.
Il piccolo ed affollato appartamento di Madame Rosa diventa la casa di Momò ed i suoi ospiti la sua famiglia. Non vi è alcun legame di sangue tra loro ma per il bene delle loro stesse esistere ognuno deve imparare a convivere e i bambini devono tenere a bada la nostalgia che provano per le loro vere madri.
Numerose sono le scene significative. Momò stringe la mano di Madame Rosa per trovare calore e protezione. Momò restituisce i due candelabri rubati come Jean Valjean e la droga ed il telefonino allo spacciatore. Momò raccoglie una pagina del libro I Miserabili (ancora Victor Hugo!)e offre un mazzolino di mimose alla morente Madame Rosa.
Il film si avvale delle musiche di Gabriel Yared e la canzone dei titoli di coda di Diane Warren dal titolo Io sì, è cantata da Laura Pausini. Ottima la fotografia di Angus Hudson. E già si parla di una possibile candidatura all’Oscar per Sophia.
Riportiamo alcuni stralci dell’intervista alla Loren e al figlio Edoardo Ponti a cura di Silvia Bizio apparsi su la Repubblica. Spiega Ponti: «È un romanzo che ho sempre amato, raccontato dal punto di vista di un ragazzino migrante. Ciò che mi ha colpito e che mi ha convinto della validità e attualità della storia, è che sono ancora in tanti a giudicare immigrati e profughi come cittadini non di prima classe: passano accanto a loro,in strada ma li separa un mondo…Il libro e la trasposizione cinematografica fanno sentire al pubblico che cosa significa essere un bambino immigrato, in un paese ospite,senza famiglia. E il rapporto tra Madame Rosa e Momò è conseguenza di questo: tutto quello che li separa colore delle pelle,cultura, provenienza, religione, sono facce della stessa medaglia. Sono entrambi dei sopravvissuti,cresciuti senza famiglia uniti dal dolore. Tutto il mondo, in questo momento ha bisogno di unione e di umanità». E la Loren aggiunge: «Questo film è stata una bellissima esperienza per me perché non è facile sentirsi a casa,essere felice di avere una storia importante da raccontare con sensibilità. È stato bellissimo ritornare a lavorare in Italia che mi manca tanto e mi manca soprattutto Napoli che è sempre nel mio cuore».