Torna, a grande richiesta, sul palcoscenico del Piccolo Bellini (repliche fino a domenica 17 Novembre) un testo cult del teatro napoletano post-eduardiano: Uscita di Emergenza di Manlio Santanelli, per la regia di Pierpaolo Sepe.
Si tratta di un kammerspiel claustrofobico di sapore beckettiano intriso dei più classici elementi della tradizione partenopea (non solo la lingua, ma anche i caratteri, le situazioni e l’inevitabile ironia), i cui due unici protagonisti – Cirillo e Pacebbene -, sfrattati dalle loro vite a causa del bradisismo, finiscono, un po’ per fatalità, un po’ per libera scelta, a convivere sotto lo stesso tetto di una casa sgarrupata. E sgarrupate sono anche le loro storie personali, le loro anime, i loro desideri. Da ciò l’ambivalenza del loro rapporto, fatto di solidarietà e ricatti, sostegno reciproco e insulti, rimpianti e sospetti, nella consapevolezza di essere accomunati da un unico, fatale destino. E’ la parabola del popolo napoletano, dal cuore grande e meschino, terremotato e sempre precario, sempre in affanno, sempre in stato di emergenza, appunto; desideroso di abbandonare la città ma allo stesso tempo di farvi ritorno (o forse incapace di andarsene, per timore – come dice Cirillo – di non ritrovarla più al suo posto). Ma, in senso più universale, la si può intendere come la parabola dell’uomo moderno, pirandellianamente fissato nel ruolo che la società gli ha assegnato, costretto ad un immobilismo asfissiante di una vita non vissuta ma guardata dall’esterno, come uno spettacolo. Difatti è ancora Cirillo che dice al proprio compagno di sventura “Tu almeno, se ti stufi, hai il coraggio di andartene dal teatro, e se trovi l’uscita chiusa, te ne vai per l’uscita di emergenza”.
Ad interpretare la strana coppia napoletana, nei ruoli che già furono di Fantoni – Mascia e De Filippo-Arena (solo per citarne alcuni), il bravo Ernesto Mahieux (Cirillo) e l’istrionico Rino Di Martino (Pacebbene), che con mestiere e disinvoltura riescono a descrivere tutte le sfaccettature di due personaggi invero non lineari, passando repentinamente da momenti farseschi a momenti drammatici, senza mai indulgere troppo negli uni o negli altri. Merito questo anche dell’attenta regia di Sepe che, con studiato equilibrio, riesce a sottolineare i diversi livelli interpretativi, in un’atmosfera decadente, da dopo sipario, senza mai enfatizzare né l’aspetto comico né quello tragico. Perché nella vita, si sa, “si scende e si sale: è una questione di bradisismo”.
Da vedere.
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