La regista Wilma Labate presenta a Napoli il suo “Arrivederci Saigon”, venerdì 15 febbraio, per la rassegna “AstraDoc- viaggio nel cinema del reale” di Arci Movie. Abbiamo incontrato la regista per carpire i segreti del suo film.
Perché ha deciso di raccontare la storia delle Stars?
«Perché la storia de Le Stars conteneva in sè molti elementi che mi stanno a cuore: un gruppo di donne coraggiose e tenaci che hanno espresso in quell’avventura una capacità di vivere molto alta, una umanità profonda e anche una buona dose di ironia. Inoltre quel momento storico, il ’68, è stato così ricco di fatti e contraddizioni che, senza nostalgia, sentivo di voler raccontare proprio partendo dall’iperbole della storia delle “Ragazze di Piombino” e dal loro sguardo ingenuo e inconsapevole. Infine la guerra del Vietnam, tanto lunga e inutile, ha prodotto un meraviglioso filone di cinema americano, mi riferisco a capolavori come “Apocalipse now” e “The Deer Hunter” ma anche moltissime immagini girate dai tanti documentaristi che sono andati in quell’inferno e lo hanno raccontato direttamente in azione. Quella è una guerra di cui i giovani sanno poco e della quale, almeno in Italia, si è parlato poco ultimamente ma che paradossalmente ha prodotto tante riflessioni e grandi conflitti non ancora del tutto dissipati».
Di questa storia non si è parlato tanto, nemmeno le protagoniste lo hanno fatto; nel suo lavoro troviamo immagini di repertorio, la ricostruzione dei fatti, attraverso le testimonianze delle protagoniste, come ha organizzato il materiale e come ha realizzato poi il film?
«Per il lavoro con le protagoniste ho avuto molto tempo per metterle a loro agio e sconfiggere la loro diffidenza, da un certo momento in poi si sono affidate e le cose più interessanti le dicevano quando ormai eravamo tutte stanche, verso la decima ora di conversazione. Purtroppo non avevo molto materiale de Le Stars a disposizione e ho costruito il film partendo dalle loro testimonianze e dall’immenso materiale di repertorio, italiano, francese e americano. É stata una grande fatica ma anche un’esperienza terribilmente attraente. Ho cercato di tenere al centro del film il sentimento della rimozione e del senso di colpa che hanno contraddistinto sia “Le ragazze” che la storia dei fatti che il mondo ha vissuto».
Si parla ancora una volta della vulnerabilità dell’animo umano, in che modo?
«Nel modo più semplice e diretto che le protagoniste hanno saputo esprimere con grande autenticità. Così come il reduce della guerra, il figlio dell’impresario e l’ex comunista che ancora non ha perdonato del tutto le ragazze».
Quanto è stato importante il lavoro di Daniele Ciprì?
«É molto bello lavorare con Daniele Ciprì, è un grande mago delle immagini e ama profondamente il suo lavoro, è ancora appassionato come un ragazzino».
Che accoglienza trova alle proiezioni?
«Il pubblico è sempre terribilmente incuriosito da una storia tanto bizzarra e incredibile, l’accoglienza è sempre stata calda».