La «paranza» è, in dialetto napoletano, sia il nome dei gruppi armati camorristi che di quei “pesci piccoli” che si avvicinano alla superficie fino a farsi catturare e “La paranza dei bambini” di Claudio Giovannesi, pare aver conquistato tutti sia a Berlino che in Italia. Sceneggiatore e autore del libro da cui il film è tratto è Roberto Saviano che, dopo aver raccontato le storie veritiere di “Gomorra” e di “ZeroZeroZero”, sceglie di raccontare per la prima volta una storia verosimile e soltanto ispirata a fatti reali.
Il lungometraggio è ambientato nel centro storico di una Napoli popolare, una Napoli che «contiene tutte le facce, tutte le contraddizioni» di un vivere ai limiti fra criminalità e innocenza. Da qui la dedica a inizio romanzo «Ai morti colpevoli, alla loro innocenza» che si declina nella pellicola in una serie di tragiche contrapposizioni. I protagonisti Francesco Di Napoli (Nicola), Artem Tkachuk (Tyson), Alfredo Turitto (Biscottino), Ciro Pellecchia (Lollipop) e Ciro Vecchione (O’Russ) sono dei bambini che giocano a fare i grandi, dei condannati a morte travestiti da eroi, pronti a fare di una guerra uno scherzo e di uno scherzo una guerra.
Il più determinato è Nicola che inizia prima a “faticare” (spaccia fuori le università) per il boss Sarnataro (interpretato da Aniello Arena) e poi, in pieno vuoto di potere, si allea con gli eredi emarginati di un capo ormai deceduto. L’illusione che lo muove è quella di portare giustizia nel quartiere in cui vive, inseguendo il bene attraverso il male. Ma è una vita in guerra, e proprio questa vita lo costringerà a sacrificare gli affetti più cari, tanto le amicizie quanto l’amore. Tra scooter e palloncini, pistole e crostatine, il film ripercorre il viaggio emotivo di questi ragazzi educati fin troppo presto alla morte. Ragazzi che vedono nei boss mafiosi l’unico punto di riferimento possibile e in una pistola la «lampada di Aladino» che basta strofinare per ottenere soldi, donne, potere.
Distante dalla brutalità di “Gomorra – la serie”, “La paranza dei bambini” è un film sull’ innocenza perduta, un film che in maniera molto intelligente riesce a smarcarsi dal solito camorra-movie per intraprendere un percorso verso la conoscenza dell’origine della perdita dell’innocenza: non c’è nessun miraggio di una vita “migliore” (se non una fugace e vagheggiata idea di trasferta spensierata al sole gioioso della salentina Gallipoli), né alcun suggerimento su come potersi affrancare da quel tipo di esistenza. Un lungometraggio diretto, semplice e oggettivo che ha saputo mettere in scena la realtà che ci circonda e che prima dei titoli di coda fa chiedere “E adesso che succede?” e invece “FINE”.