La mostra Rock! celebra Massimo Troisi. La IV edizione della mostra internazionale ROCK! ideata e diretta da Carmine Aymone e Michelangelo Iossa, che si terrà al Pan (Palazzo delle Arti Napoli) fino al 6 aprile, ha voluto dar luce anche ad un grande artista come Massimo Troisi a quasi 20 anni dalla sua scomparsa. Alla festa di apertura della Mostra Rock! presente anche Lello Arena, grandissimo amico di vita e di scena di Troisi. Proprio in occasione della sala allestita con locandine cinematografiche, fotografie e costumi di scena, oggetti gelosamente conservate da Alfredo Cozzolino, un altro grande amico di Massimo Troisi, Lello Arena ci parla di quanto sia diventato difficile organizzare eventi al fine di omaggiare un attore, regista e sceneggiatore come Troisi.
Lello Arena, straordinario attore per il quale scomodiamo la commedia dell’arte, la tradizione delle maschere popolari – per far capire la grandezza delle sue interessanti caratterizzazioni che dà ad ogni personaggio che interpreta- insieme con Massimo Troisi, sono partiti da San Giorgio a Cremano, recitando Scarpetta e Eduardo, poi la decisione di fare cabaret, e dopo l’incontro con Enzo De Caro, fondano il gruppo storico La Smorfia, sul quale è prevista, prossimamente, una fiction.
In questa mostra c’è molto materiale nostalgico dagli esordi di Massimo Troisi e de La Smorfia…
«È una parte minima di materiale raccolto e conservato, in realtà, si potrebbe riempire il Pan intero, dalla cima delle terrazze fino ai sotterranei. Ci sono costumi, locandine, foto e materiale d’epoca, veramente molte cose, considerando che in questa città è molto difficile ricordare le persone che l’hanno resa importante. Abbiamo accettato volentieri questa ospitalità all’interno di una mostra sulla musica rock.»
A tutt’oggi non c’è la possibilità di fare una mostra su Massimo Troisi e su la Smorfia?
«No, abbiamo provato una quantità di volte inenarrabili, cercando anche delle ospitalità istituzionali, perché credo che non sia una cosa che debba essere fatta in forma privata, infatti, qui al Pan siamo in un contesto ufficiale, cittadino. La città si dovrebbe occupare di prendere degli spazi e metterli a disposizione, tutte le volte che ci abbiamo provato, non abbiamo trovato nessun tipo di ascolto e, quindi, le occasioni, anche piccole e generose come queste, pensiamo che valga la pena di accettare, così almeno le cose si muovono,piuttosto che non far niente.»
Questa allora è una delle prime mostre che viene fatta su Massimo Troisi?
«C’era una piccola mostra a San Giorgio a Cremano, che doveva essere l’inizio di una mostra permanente, però anche quella è finita clamorosamente nel nulla. Evidentemente ci debbono essere delle convenienze, che non sono delle convenienze di passione o di ringraziamento a una persona. Io sono di Napoli, ma Massimo era proprio di San Giorgio, quindi, uno s’immagina che una cittadinanza si mobilità per costruire intorno a questo perno cittadino una realtà, mentre invece, c’è chi ragiona con la passione e chi ragiona con le convenienze, evidentemente convenienze e passione spesso non vanno d’accordo.»
Un orgoglio che non c’è da parte di Napoli e San Giorgio….
«Pare di no, almeno fino adesso.»
Cosa accomuna la mostra rock con La Smorfia e Troisi?
«Come si diceva all’epoca eravamo molto rock, La Smorfia è stato un progetto assolutamente rivoluzionario e spericolato che, ancora oggi, è un progetto talmente straordinario,nonostante i suoi trent’anni e passa, che riesce a parlare di se come se fosse nuovo. I contatti sui nuovi mezzi di massa, i vari social e youtube, sono altissimi, per cui anche le nuove generazioni hanno curiosità di vedere cosa facevano questi tre. Chiaramente, il fatto che, La Smorfia, abbia ospitato Massimo ai suoi inizi, voleva dire che era un nido molto prezioso nel quale fare crescere un artista di quel tipo, quindi se è vero che Massimo è quello che è, il grande artista, lo straordinario poeta che tutti abbiamo imparato ad apprezzare, pensare che quell’artista sia cresciuto all’interno di un posto che doveva essere, a maggior ragione, ancora molto prezioso e molto protettivo, perché l’arte di Massimo era molto delicata, aveva necessità di essere protetta rispetto alla sua poetica e al modo così strampalato che aveva di proporsi e, quindi, se Massimo è un artista straordinario come quello che è, La Smorfia io me la ricordo pure come terraio, come luogo nel quale far germogliare un talento di quel tipo.»
Come venivano create le vostre gag, chi scriveva…
«Abbiamo scritto sempre tutto da noi e, ogni pezzo ha una storia assolutamente unica, erano forme di contaminazioni molto particolari, e, come si dice nei ristoranti, era tutto fatto in casa.»
Come e dove iniziò l’avventura de la Smorfia?
«È iniziato in un piccolo teatrino di San Giorgio a Cremano, che si chiama ancora il Centro Teatro Spazio. Era il nostro teatrino dove abbiamo cominciato a fare cose diverse, che non facevano parte del nostro repertorio, poi pian piano abbiamo cominciato a scrivere e, da lì praticamente si è creato questo nucleo, diventato La Smorfia.»
In questo periodo lei è impegnato in una tournèe teatrale, che durerà fino a maggio, con L’Avaro di Molière…
«È un testo straordinario, parla di questa assoluta mancanza e possibilità di condividere, siamo tutti molti concentrati nel collezionare, nell’avere e non nel condividere. Le mostre sono belle perché uno accumula, colleziona, ma poi ha il momento in cui arriva alla gente, la mia gioia e la mia passione sono a disposizione di tutti, invece, ci sono quelli che sono incapaci, accumulano e non sono capaci di condividere con nessuno, l’unica gioia che gli viene è una gioia egoistica, individuale, mentre, invece, la felicità è chiaramente una cosa collettiva, non si può immaginare una felicità che non sia appartenente a tutti. Se collezioni, se fai in modo che tutto sia obbligato da questa unica idea che hai, che è quella di avere, di usare tutto per aumentare questo avere, quello che ti aspetta è un dolore terribile, per cui raccontare oggi questa storia penso abbia una grande funzione sociale, la gente viene a teatro si diverte molto, ride, poi si gira a fianco e si accorge che Arpagone ce l’ha a fianco, si convive con persone del genere senza accorgersene.»
Come ha caratterizzato questo personaggio, cosa ha messo di suo?
«È lui che mi sta rovinando le giornate, perché poi quando è molto prepotente, quello che non avevi mai pensato in quella prospettiva, cioè di dire è mio è mio è mio, invece, con un personaggio così forte con il quale vivi, ti spinge anche nell’avere tutti i giorni e, ogni tanto a dire una cosa che non avevi mai detto in vita tua, è mio, hai sempre detto è nostro, invece, capisci che a un certo punto vieni sopraffatto. È un sentimento che evidentemente uno ha e, con il quale combatte quotidianamente, ma poi quando c’è uno che tutti i giorni si scalmana sul palco, per dire è mio è mio è mio, poi nella vita ti viene pure la tentazione di dirlo. È il contrario, cioè, sono io che sto cominciando ad assomigliare a lui, invece, che lui assomigliare a me.»