Esce il 17 aprile il nuovo album del cantautore napoletano La Belle Dame Valerio Bruner. Ci parla di questo lavoro?
«Le canzoni de La Belle Dame sono nate negli anni successivi all’uscita del mio primo ep, Down the River. Non smetto mai di scrivere storie, di comporre una melodia e provare a intrecciarle fra di loro. Mi resi conto che molte delle nuove canzoni avevano come protagonista una donna, non “parlavano di” una donna, “erano le parole di” una donna. Non era qualcosa che avevo programmato a tavolino, era successo e basta. Ho preso allora queste canzoni e le ho unite a formare La Belle Dame, un album che parla di donne libere e ribelli».
Mi sembra che lei abbia un particolare passione e rispetto per le donne, è così?
«Sì. Sono cresciuto avendo attorno figure come mia nonna e mia madre che mi hanno mostrato, attraverso le loro parole e i loro gesti, quanto coraggio e determinazione ci vogliano per essere donna in una società ancora fortemente maschilista. Crescendo e facendo le mie esperienze ho maturato dentro di me il valore e il rispetto non solo del loro esempio, ma di quello di ogni donna che lotta per affermare la propria individualità e indipendenza contro quegli atteggiamenti di maschilismo sciatto e gretto lungi dall’essere ancora debellati, purtroppo».
Da sempre ama viaggiare e proprio dalla scoperta di nuove culture che trae ispirazione per i suoi lavori?
«Direi di sì. Viaggiare è per me una grande forma di liberazione e di ispirazione. Down the River nacque sulle rive del Tamigi, La Belle Dame è figlio di Londra e Granada, ma anche di mille altri viaggi. Viaggiare apre la mente, ti rende più ricettivo e rispettoso verso culture, costumi e usanze diverse dalle proprie. È proprio dall’incontro e dal confronto con l’altro che capiamo chi siamo veramente».
Utilizza spesso nei suoi brani la lingua inglese, perché?
«Non è una scelta razionale, quanto emozionale. Sono cresciuto con le canzoni classiche napoletane e con i grandi cantautori italiani. Alla musica “straniera” mi ci sono avvicinato da solo, negli anni del liceo: i Doors, Bruce Springsteen, i Nirvana, per fare alcuni nomi. Negli anni ho coltivato e approfondito questa passione, scoprendo o riscoprendo artisti, donne e uomini, che sono diventati per me un’immensa fonte di ispirazione. Sono le loro parole, insieme alla musica, che scavano dentro di me dei mondi interi in cui mi ritrovo, faccio i conti con me stesso e riparto di nuovo. Quando Leonard Cohen canta: “There is a crack in everything. That’s how the light gets in” è come essere investiti in pieno da un treno merci».
La lingua è importante rappresenta anche l’identità del popolo, è d’accordo?
«Sì, la lingua di un popolo è parte integrante della sua identità. Il napoletano, che è una lingua, è una perfetta espressione dell’identità del suo popolo perché dice tutto su chi è: fertile e bizzarra mescolanza di lingue e culture diverse e disparate, che hanno creato nei secoli un amalgama denso e perfetto. La lingua di un popolo è un patrimonio prezioso fintanto che non diventi però limite, confine, chiusura».
La sua seconda forma di espressione è il teatro ci parla dei suoi lavori teatrali?
«Il teatro è il mio primo amore. Mi ha dato tanto e mi ha fatto crescere tanto. Nonsense a nord del Tamigi è stato il primo lavoro che ho portato in scena con la mia compagnia, il Teatro di Contrabbando, e fu lo spettacolo che diede il via a tutto, vincendo nel 2016 la rassegna nazionale per drammaturgia contemporanea Stazioni d’Emergenza di Galleria Toledo. Negli anni mi sono misurato anche con monologhi in napoletano arcaico, Malammò o della Madonna puttana ne è l’esempio, e ho continuato in tempi più recenti a coltivare il rapporto tra musica e teatro, come in Rock City Nights e My Wild Love, cuore di donna in tempo di guerra. Ultimo in ordine cronologico è stato Dead Man Working, uno spaccato distopico della società contemporanea, che ha vinto come Miglior Corto nella rassegna I Corti della Formica 2019».
Cosa pensa della situazione attuale e delle ripercussioni future?
«La sospensione delle manifestazioni culturali, che si tratti di musica o teatro, è stata un duro colpo. Ma necessario. Ne pagherò le spese anche io, come tanti altri colleghi, ma in una situazione così delicata ci è richiesto di essere responsabili non solo verso noi stessi, ma soprattutto verso gli altri, in particolare verso quei soggetti che sono più a rischio. Alle volte è necessario fare un passo indietro e aspettare».