Una scoperta insolita e sotto certi aspetti una sorpresa, Andrea Bosca, uno dei nuovi promettenti attori italiani, ama parlare molto, ha una grande personalità caratteriale che domina i suoi ideali, le sue paure, ottenendo un’interessante visione della vita e ogni nuova realtà che lo circonda.
Nel suo ruolo di Paride in “Giulietta e Romeo”, che andrà in onda in autunno sulla Mediaset, Andrea porta alla ribalta il mondo dei saltimbanchi, degli attori come li volle Shakespeare, insieme ilari e pensosi, distributori di facezie e verità.
Sarà nei panni di un carabiniere nella fiction Rai “A testa alta – I martiri di Fiesole”, ma il suo personaggio, il fantasma Luca Veroli in “Magnifica presenza” di Ferzan Ozpetek ha fatto innamorare uomini e donne per il suo “pure love”.
Prossimamente ti vedremo in “Giulietta e Romeo”, qual è il tuo ruolo?
«Interpreto Paride, un personaggio che di solito viene raccontato come uno antipaticissimo o poco interessante, uomo ricco, ma anche un po’ sfigato. A me interessava fare un personaggio che fosse quasi comico all’inizio, è quello che, oggi, viene percepito come il finanziere senza scrupoli, una persona che fa un contratto, che cerca di ottenere Giulietta perché non può averla, perché gliel’hanno negata, perché è l’unica che non si prostra ai suoi piedi e se la compra, facendo un affare di cui conosce perfettamente tutti i risvolti, anche le bugie che gli racconta, persegue un obiettivo. In tutto questo riesce a essere pure simpatico, anzi non è simpatico, ma lui pensa di esserlo e questo lo rende insopportabile. Mi sono divertito a tratteggiare quello che può essere oggi Paride, pensando anche a tutti quelli che ti sfrecciano davanti, che ti sbattono in faccia tutte le loro possidenze e non ti chiedono assolutamente scusa o il permesso, non si chiedono niente di te e si sentono anche simpatici.»
Tu studi molto i tuoi personaggi, non ci dormi la notte?
«Io ci sogno la notte. Ho sempre pensato di fare, come dei dipinti, come delle sculture, quindi metto insieme tante cose, le scrivo, le riscrivo, cambio, faccio una specie di designer, poi la cosa bella è che io sogno molto, mi scrivo sogni da sempre e quindi a volte sogno queste figure. Ad esempio, la figura di Luca in “Magnifica Presenza” di Ferzan, l’ho sognata, ho visto quell’uomo lì e ho detto: quella figura mi sta suggerendo dove e come posso fare quel ruolo. Ferzan chiedeva di emozionarlo ed io ho cercato di accontentarlo, facendo la cosa più onesta che potevo, qualcosa che potesse allo stesso tempo emozionare anche me stesso.»
Qual è stato il tuo ultimo film?
«Abbiamo finito di girare da pochi giorni “A testa alta – I martiri di Fiesole”, per la regia di Maurizio Zaccaro con Marco Cocci, Giorgio Pasotti e Nicole Grimaudo. Ho interpretato il ruolo Pasquale Ciofini, carabiniere e partigiano, e per copione sono dovuto dimagrire di cinque chili.»
Il tuo ultimo spettacolo teatrale è stato “L’arma, how long is now?”
«È uno spettacolo molto particolare, scritto da Duccio Camerini, per la regia di Aureliano Amadei. Questa fabula teatrale è stata trasformata in un’opera cinematografica, per cui speriamo, che la stessa storia su cui abbiamo lavorato, con gli stessi attori, di poterla portare al cinema, e per cui adesso stanno riscrivendo il copione per il cinema. Abbiamo due linguaggi diversi, ma la tematica è la stessa. Abbiamo approfondito questi personaggi, conoscendoli prima in un modo e poi nell’altro.»
Parlami del progetto culturale “Le Colline Come Vivo Acciaio”…
«Sono stato chiamato come testimonial per la provincia di Asti e dell’Unesco, i paesi Langhe, Roero e Monferrato si sono candidati come Patrimonio dell’Umanità all’UNESCO 2011, e avevano bisogno di qualcuno che raccontasse il loro territorio, io sono di questi posti, e, allora ho pensato di raccontare la mia gente tramite le parole degli scrittori che hanno parlato della mia gente, ma la mia gente ha quei tratti che sono umani per tutti, quindi comprensibili a tutti, sono un patrimonio dell’umanità, un patrimonio immateriale, allora, io e Elisa Galvagno ci siamo messi a riscrivere un testo di Beppe Fenoglio, Una questione privata. Abbiamo fatto con dei ragazzi dei laboratori itineranti, diventati poi il terreno per il nostro studio e, quando abbiamo debuttato con lo spettacolo Come Vivo Acciaio, frase presa dal racconto, chi ha lavorato con noi è stato messo in grado di inscenare una specie di Midnight in Paris ad Asti, vestiti tutti in abiti anni ’40, ovviamente non si diventa attori in un giorno e, noi non avevamo chiesto di farlo, quindi, nella stradina e nell’atelier del teatro, la scena era tutta anni ’40 e ci portava nel più alto della storia. I ragazzi leggevano anche un piccolo racconto che dava elementi per capire lo spettacolo, poi io e Elisa, che siamo i due professionisti, invece, abbiamo fatto lo spettacolo, interpretando in scena tutti i ruoli di Una questione privata e, questa è stata la mia prima regia teatrale insieme ad Elisa.»
Come sceneggiatura era la prima volta che scrivevi qualcosa per il teatro?
«Stiamo cercando di scrivere un progetto per un lungometraggio in questi giorni, però sto ultimando anche la scrittura per un cortometraggio. È un lavoro molto difficile, però, mi appassiona anche se non è il mio mestiere visto che sono un attore.»
Di cosa parlerà questo tuo primo corto da regista?
«Un tema sociale, che mi sta molto a cuore. Non ti sto a svelare tutto, però, s’interroga sulla scelta di stare con gli altri, quindi, di mettere da parte anche i propri dolori, le proprie indisposizioni, oppure scegliere di rimanere da soli e risolvere i problemi da soli. Ho sempre pensato di essere una persona piuttosto solitaria, però, la mia gioia sta nel lavoro di squadra, e lo stare con gli altri, quello che mi colpisce umanamente, che m’intenerisce anche di noi stessi è che cerchiamo di risolvere i problemi da soli, ma in realtà non va così, c’è una frase bella di un proverbio africano, “per fare un figlio servono due persone, ma per tirarlo su serve una tribù”.»
Hai cominciato con il teatro, studiando moltissimo in diverse scuole…
«Ho iniziato a dodici anni, da sempre ho amato molto il teatro, ho recitato per anni in una compagnia amatoriale di provincia. Ero un ragazzo, non sapevo ancora benissimo cosa avrei fatto nella vita, così volendo prendere seriamente la cosa, ho provato ad entrare in una scuola e ho deciso di fare il Teatro Stabile di Torino. Per fortuna mi hanno preso, sono entrato e ho fatto tre anni di scuola. La fortuna è stata che, Mauro Avogadro, il direttore della scuola, mi ha preso in compagnia e dopo alcuni anni di tournèe, mi sono iscritto presso un’agenzia di Roma ed ho iniziato a lavorare con la televisione. Anni dopo ho provato con il cinema, anche lì un colpo di fortuna, un ragazzo si era ammalato e sono andato al provino. Ho cominciato con “Amore, bugie e calcetto”.»
Com’è nata questa passione per il teatro, chi ti ha spronato?
«Sicuramente gli amici del gruppo Teatro Nove, che sono stati la prima compagnia amatoriale con cui ho lavorato. Un grande amico e padrino per me è stato Renzo Arato, il quale mi ha consigliato di studiare, di vedere il teatro come un lavoro. Grazie a lui mi sono trasferito a Torino. Da lì in poi c’è stato il lavoro con tutti i maestri e con tutti i registi con cui ho lavorato, Riccardo Donna, Mario Martone, Ferzan Ozpetek.»